Quando Israele ha lanciato l’offensiva di terra in Libano, diversi esperti militari occidentali avevano avvertito il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che Hezbollah rappresenta una minaccia ben più grave di Hamas. Proprio per questo, l’esercito israeliano (IDF), con la collaborazione delle informazioni top secret fornite dal Mossad, ha lanciato una serie di martellanti attacchi su tutto il Libano, nel tentativo di distruggere quanti più siti missilistici controllati dal Partito di Dio libanese e, soprattutto, per decapitarne l’organizzazione, uccidendo uno dopo l’altro tutti i suoi vertici.
Una strategia che avrebbe dovuto piegare Hezbollah ma che, stando a quanto accade in queste ore, sembra miseramente fallita, poiché i miliziani filo-iraniani, invece di abbandonare la lotta, hanno alzato il tiro, colpendo con uno sciame di droni una base dell’IDF vicino a Binyamina, nel centro-nord di Israele. L’attacco ha causato la morte di quattro soldati israeliani e il ferimento di almeno altri 58 militari, sette dei quali versano in gravi condizioni.
Dopo l’attacco, il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, si è recato alla base per visitare i superstiti, assicurando che Hezbollah “pagherà caro” e affermando che “studieremo e indagheremo sull’incidente per capire come un drone sia riuscito a penetrare senza preavviso e colpire una base militare. La minaccia dei droni è una minaccia che dobbiamo affrontare dall’inizio della guerra.
Siamo tenuti a fornire una migliore protezione; indagheremo su questo incidente, impareremo e miglioreremo”. Tuttavia, secondo quanto dichiarato dai combattenti libanesi, quest’azione potrebbe essere solo l’inizio, poiché Hezbollah minaccia: “Questo attacco è solo un assaggio di ciò che Israele deve aspettarsi se continuerà con i suoi attacchi contro il nostro popolo”. Inoltre, il gruppo islamico vicino all’Iran ha riferito di “feroci scontri” al confine, affermando di aver sparato colpi di artiglieria contro forze israeliane che, nei pressi del villaggio di Markaba, tentavano di infiltrarsi in territorio libanese.
Hezbollah buca lo scudo difensivo di Israele e colpisce una base militare. Ira del governo Netanyahu: “La pagheranno cara”
Dal canto suo, l’IDF ha risposto con i consueti bombardamenti sul Libano e su Gaza. Uno di questi “attacchi mirati”, come li definisce l’esercito israeliano, ha colpito l’ospedale Shuhada al-Aqsa, nella zona di Deir al-Balah, nella Striscia di Gaza, causando un numero ancora imprecisato di vittime e feriti. Secondo l’IDF, il raid ha preso di mira “un centro di comando e controllo di Hamas”, da cui venivano “pianificati ed eseguiti attacchi terroristici contro le truppe dell’IDF e lo Stato di Israele”.
Tuttavia, i media locali smentiscono questa versione, sostenendo che l’attacco ha colpito una tendopoli adiacente alla struttura, dove si trovavano numerosi sfollati, provocando una “strage spaventosa”. Per quanto riguarda il Libano, dove i combattimenti non si fermano, l’IDF ha ordinato l’evacuazione immediata di altri 25 villaggi nel sud del Paese, in previsione di un’intensificazione delle operazioni militari nelle prossime ore.
Dopo l’attacco di Hezbollah, si infiamma tutto il Medio Oriente
Nel frattempo, continua a far discutere la serie di attacchi di Israele contro le forze di pace dell’ONU della missione UNIFIL. Malgrado la condanna – seppur solo verbale – della comunità internazionale, Netanyahu non cede e lancia minacce velate: “Signor Segretario Generale, tolga le forze UNIFIL dal pericolo. Deve essere fatto subito, immediatamente, altrimenti il rifiuto di evacuare i soldati UNIFIL li rende ostaggi di Hezbollah e mette in pericolo sia loro che le vite dei nostri soldati”.
Il primo ministro ha poi espresso “rammarico per i danni” arrecati ai cinque peacekeeper feriti, affermando che Israele sta facendo tutto il possibile per evitare che tali episodi accadano di nuovo, “ma il modo semplice e ovvio per garantirlo è semplicemente portarli fuori dalla zona di pericolo”. A queste parole hanno risposto sia i vertici di UNIFIL sia i leader di diversi Paesi dell’UE, tra cui il premier spagnolo Pedro Sanchez, spiegando che “non ci sarà il ritiro delle truppe di UNIFIL dal Libano, poiché confermiamo il nostro impegno nella missione stabilita con la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, che oggi ha più significato che mai, considerando quanto sta accadendo sul terreno”.
Il leader di Madrid ha inoltre dichiarato che “è ora che la comunità internazionale si svegli”, riconoscendo lo Stato di Palestina e bloccando l’invio di armi a Tel Aviv, così da impedire che il governo di Netanyahu “imponga con la forza un nuovo ordine nella regione”. Dichiarazioni a cui Israele sembra prestare poca attenzione, complice il continuo sostegno statunitense. Anzi, da Tel Aviv sembra che il conflitto sia destinato ad allargarsi ulteriormente, poiché la tanto attesa rappresaglia contro l’Iran potrebbe scattare da un momento all’altro. Il ministro israeliano delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha lasciato intendere che la risposta di Tel Aviv non sarà limitata, come auspicato dagli Stati Uniti, affermando di essere “soddisfatto dei piani d’attacco proposti”.