Con gli occhi della comunità internazionale puntati sul conflitto in Medio Oriente e su quello in Ucraina, si surriscaldano pericolosamente sia l’area del Pacifico sia quella della penisola coreana, dove, ormai da tempo, soffiano impetuosi venti di guerra.
Il Pacifico si infiamma, soffiano venti di guerra su Taiwan
Ormai da anni, l’osservato speciale è l’isola di Taiwan, teatro di un feroce braccio di ferro tra gli Stati Uniti, che ne appoggiano l’indipendenza da Pechino, e la Cina, che la considera “una provincia ribelle” da ricondurre a più miti consigli. Tensioni che, ormai su base quotidiana, vengono alimentate da prove di forza bipartisan: l’amministrazione americana di Joe Biden continua ad annunciare forniture militari a Taipei; il governo dell’isola sfida la Cina; e, infine, l’esecutivo di Xi Jinping risponde con dichiarazioni infuocate e manovre militari ostili, inviando jet da combattimento e navi da guerra nell’area. A riaccendere la miccia delle tensioni è stata la Repubblica di Cina (Roc), ossia Taiwan, che ha ribadito di “non voler essere subordinata” a Pechino. A dirlo, forte del sostegno degli Stati Uniti, è stato il presidente taiwanese William Lai Ching-te durante la celebrazione annuale del Doppio Dieci, ovvero il giorno della fondazione della Roc.
“La Repubblica di Cina si è già stabilita a Taiwan, Quemoy, Matsu e Penghu, e non è subordinata alla Repubblica Popolare Cinese”, ha dichiarato Lai, celebrando il 113° anniversario della fondazione. “Su questa terra, la democrazia e la libertà stanno crescendo e prosperando. La Repubblica Popolare Cinese non ha il diritto di rappresentare Taiwan”, ha aggiunto Lai, prima di invocare anche un “dialogo sano e ordinato tra le due parti” e affermare che continuerà a mantenere lo status quo nello Stretto di Taiwan, pur ribadendo il suo “impegno a resistere all’annessione o a qualsiasi violazione della nostra sovranità”.
La risposta di Pechino
Le sue parole non sono passate inosservate. Da Pechino è arrivata una pronta replica. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha attaccato il presidente taiwanese, sostenendo che con le sue dichiarazioni “improvvide rivela la sua ostinata opinione a favore dell’indipendenza di Taiwan e la sua sinistra intenzione di aumentare le tensioni nello Stretto di Taiwan per interessi personali di natura politica”. Il tutto, ha sottolineato Ning, “ignorando che così il rischio di una guerra aumenterà esponenzialmente”.
Botta e risposta tra le due Coree, così il Pacifico rischia di esplodere
Ma se nel Pacifico la tensione sale, non va meglio nell’Estremo Oriente. Crescono di giorno in giorno le dichiarazioni e le azioni bellicose di Kim Jong-un nei confronti della Corea del Sud. L’ultimo capitolo di questa infinita e surreale faida — in cui nelle settimane scorse si è registrato anche l’episodio shock di Pyongyang che ha scagliato centinaia di palloni sonda carichi di immondizia verso Seul — è stato scritto dallo stesso leader nordcoreano, che ha deciso di distruggere tutte le strade e le ferrovie che collegano la Corea del Nord alla Corea del Sud. Come se non bastasse, Kim ha annunciato l’intenzione di costruire “strutture difensive massicce” nelle aree di confine, in risposta alle manovre militari congiunte tra Corea del Sud e Stati Uniti. Le misure, spiegano da Pyongyang, mirano a “separare completamente” le due Coree, così da “inibire la guerra e difendere la sicurezza” del Paese.
Una mossa che, però, non sembra affatto “difensiva”, ma, al contrario, appare come una provocazione, in risposta alle dichiarazioni concilianti espresse, letteralmente poche ore prima, dal presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, il quale aveva affermato che “una penisola coreana unificata e senza armi nucleari contribuirebbe alla pace e alla stabilità nella regione Indo-Pacifica”. Peccato che questo sia il sogno di Seul, ma non di Pyongyang, che all’inizio del mese, dopo una lunga serie di provocazioni reciproche, ha deciso di modificare la Costituzione del Paese, eliminando ogni riferimento all’unificazione delle due Coree e sostituendolo con una dichiarazione in cui la Corea del Sud viene indicata come “nemico principale immutabile” di Pyongyang, da affrontare in caso di guerra “con tutte le misure e gli armamenti disponibili, arsenale nucleare incluso”.