Stipendi fermi al palo, smentita la propaganda meloniana: per i salari -10% rispetto al periodo pre-crisi

Salari in affanno. Tra le cause i ritardi nei rinnovi contrattuali, l’assenza di una retribuzione minima e di meccanismi di indicizzazione.

Stipendi fermi al palo, smentita la propaganda meloniana: per i salari -10% rispetto al periodo pre-crisi

Dall’inizio del 2021 ad oggi, i salari orari sono cresciuti in media in Italia dell’1,2% contro il +3,3% dell’area euro, “per effetto dei ritardi nei rinnovi contrattuali, dell’assenza di un salario minimo e di meccanismi di indicizzazione”. In termini reali, i salari si sono ridotti quasi del 10% rispetto al periodo pre-crisi, pur registrando un recupero nel primo trimestre 2024 grazie a una crescita più sostenuta dei salari negoziati (3,6% a giugno). È quanto emerge dal Monitor realizzato dall’area studi di Legacoop con Prometeia.

Scende l’inflazione ma il livello dei prezzi rimane alto e i salari reali crollano

Secondo il rapporto, dopo il picco registrato a ottobre 2022, quando la variazione percentuale tendenziale dell’Ipca fu del 12,5% (e del 10,6% nell’area euro), il tasso di inflazione in Italia prosegue il suo sentiero di discesa, collocandosi al di sotto della media dell’eurozona. Ma se la relativa stabilità dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali induce ad escluderne un rinfocolarsi, la crisi passata ha lasciato in eredità un livello dei prezzi persistentemente più alto.

Rispetto a gennaio 2021, ad agosto scorso si sono registrati incrementi che variano dai 14 punti percentuali per l’inflazione ‘core’ ai 21 punti per i beni alimentari non lavorati; l’indice Ipca per i beni energetici ha addirittura segnato un incremento di oltre 51 punti. E se le imprese sono riuscite a difendere i propri margini trasferendo i maggiori costi sui beni finali, i salari hanno invece subito in Italia una forte erosione del potere d’acquisto non ancora recuperata, con una riduzione di quasi il 10% in termini reali rispetto al periodo pre-crisi.