Niente da fare, blitz fallito, candidato (quasi bruciato) e la “talpa” ancora in libertà. È il bilancio della brutta giornata di Giorgia Meloni che ieri ha visto miseramente disgregarsi il suo piano “segreto” per portare il suo consigliere giuridico, Francesco Saverio Marini (il padre della riforma del Premierato), sulla poltrona di giudice della Corte Costituzionale. Un piano “segretissimo”, tessuto via chat ma finito sui giornali con esiti disastrosi per Giorgia: nell’ottavo scrutinio del Parlamento in seduta comune, in cui era necessaria la maggioranza dei tre quinti dei componenti, pari a 363 voti, nessuno dei candidati ha raggiunto il quorum: 323 le schede bianche, dieci quelle nulle mentre i voti dispersi sono stati nove.
Il flop della prova di forza di Giorgia
Il fallimento della prova muscolare con l’opposizione – se la Costituzione prevede una maggioranza qualificata è perché ci deve essere un accordo tra le forze parlamentari – era chiaro già alle 11 di ieri mattina, quando, dopo una notte di febbrili contatti nella maggioranza, appelli e contrappelli, giustificazioni per assenza che neanche al liceo…, da via della Scrofa era arrivato l’ordine a tutti i senatori e deputati di cielo, di terra e di mare, di votare scheda bianca.
Così, la candidatura di Marini non è stata presentata per non “bruciare” il candidato caro alla premier, indigeribile all’opposizione che ne ha denunciato l’evidente confitto di interessi. Già allora infatti era chiaro che i voti non ci sarebbero stati. Anche se fino all’ultimo la convinzione della coalizione e della premier era quella di tirare dritto, poi – racconta un ‘big’ – sarebbe venuto meno un pacchetto di voti e si è optato per la bianca.
Esulta il centrosinistra unito
Intanto le opposizioni – dal Pd a +Europa, da M5s, Iv ed Azione – che non hanno partecipato al voto, attaccano: “Non possiamo assecondare il blitz delle forze di maggioranza. Li abbiamo lasciati da soli in Aula con le loro paranoie, a scovare i traditori dentro Fratelli d’Italia”, ha dichiarato il presidente M5s Giuseppe Conte.
“Ora accettino il dialogo con le opposizioni che si sono rifiutati di avere fino a qui”, ribatte la segretaria dem Elly Schlein, “Vogliono bloccare le istituzioni, mettono a rischio la democrazia. Se ne assumano la responsabilità”. E ancora: “La maggioranza è nel caos – sottolinea la responsabile Giustizia del Pd, Debora Serracchiani – Ha tentato di forzare la mano sulla nomina dei giudici della Corte Costituzionale, ma è evidente che non vi sia accordo neppure al suo interno sulla composizione della Consulta. Il blitz di Meloni si è rivelato un grande flop”.
Avs: “Ora si deve aprire un confronto”
“Presidente Meloni, fare le prove muscolari su organismi di garanzia come la Corte Costituzionale è un pessimo segnale per le Istituzioni specialmente se il braccio di ferro è finalizzato a far eleggere un giudice in palese conflitto di interessi” affermano Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni di Avs. “Il prof. Marini è l’autore – proseguono i leader di Avs – di proposte di riforma come autonomia e premierato, che da giudice della Consulta avrebbe dovuto valutarne la costituzionalità ed esprimersi sull’ammissibilità di referendum abrogativi. Oggi le opposizioni hanno dato prova di compattezza e ribadiamo l’urgenza dell’apertura di un confronto con l’opposizione da parte della maggioranza, – concludono Bonelli e Fratoianni – un confronto sino ad oggi negato”.
Probabilmente già la prossima settimana sarà calendarizzato il nono voto e si capirà se Giorgia intende insistere col suo pupillo, oppure cercherà un accordo. Intanto però si guarda al 12 novembre, quando la Consulta dovrà esprimersi sui ricorsi presentati da cinque regioni contro la riforma dell’Autonomia differenziata. Un esame che si spera sia il più super partes possibile, senza estensori della riforma a giudicare la costituzionalità del proprio lavoro…