In Europa ci si abitua presto alla retorica del “troppo poco, troppo tardi”. Eppure, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha deciso di scuotersi e rispondere a Viktor Orbán. Finalmente, verrebbe da dire. Lo scontro si consuma in plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, e fotografa la Commissione e il premier ungherese su posizioni inconciliabili.
Se Orbán ha usato il suo intervento all’Eurocamera sulle priorità della presidenza ungherese dell’Ue per difendere il suo operato e presentare l’Ungheria come l’alfiere di un’Europa che deve cambiare, von der Leyen ha finalmente smesso di usare guanti di velluto. E, anche se l’assalto verbale arriva con anni di ritardo, il messaggio è chiaro: basta tollerare un’Unione Europea che tradisce sé stessa.
Ursula contro Viktor: lo scontro a Strasburgo
Dalla presidente della Commissione non ci si aspetta un linguaggio che morde ma questa volta ha rinunciato all’aplomb. “Per la guerra in Ucraina c’è ancora qualcuno che dà la colpa non all’invasore ma all’invaso. Mi domando: qualcuno ha mai incolpato gli ungheresi per l’invasione sovietica del 1956?”, ha incalzato von der Leyen, sferzante. Un colpo diretto al premier ungherese che, dopo mesi di ambiguità e strizzatine d’occhio verso Mosca.
Le parole della presidente sono risuonate come un atto d’accusa verso il tradimento dell’Europa da parte di Orbán. Un leader che gioca al sovranismo sul filo della provocazione ma che è ancora aggrappato ai vantaggi economici e politici dell’Unione. Un Orbán che, come von der Leyen ha sottolineato, fa a pezzi il Mercato Unico, imponendo barriere alle imprese europee e sovvenzionando le proprie.
Von der Leyen contro Orbán: inizia la resa dei conti
È chiaro: il dibattito di oggi non è stato solo uno scambio acceso. È stato l’inizio di una resa dei conti. Orbán ha sfidato Bruxelles ripetendo la sua solita litania anti-migranti, dipingendo un’Europa che rischia il collasso a causa della crisi migratoria e sottolineando la necessità di chiudere le frontiere. Le sue soluzioni? Costruire hotspot esterni all’Unione e ripristinare un “vero” sistema Schengen, esclusivo e selettivo.
La realtà però è ben diversa: lo stesso governo ungherese ha liberato trafficanti di esseri umani prima che scontassero la loro pena. Non ha esitato a lasciarli andare, gettando benzina sul fuoco della crisi migratoria. Von der Leyen ha colto al volo l’occasione, pungendo senza remore: “Questo non significa proteggere l’Unione, significa buttare i problemi verso i vicini”.
Lo scontro si infiamma: von der Leyen abbandona la diplomazia
Le tensioni si sono elevate ancora quando la presidente della Commissione ha ricordato che l’Ungheria, sotto la guida di Orbán, si sta allontanando dal Mercato Unico. “Come può un governo attrarre investimenti europei se impone restrizioni e colpisce arbitrariamente le imprese?”, ha domandato von der Leyen, lasciando Orbán senza replica. E non è finita qui: la presidente ha rimarcato come il Pil pro capite dell’Ungheria sia stato superato da quello dei suoi vicini dell’Europa centrale. Un chiaro affondo sul fallimento economico di un regime che si è presentato come il salvatore della nazione e del continente.
La reazione di Orbán e il cambio di equilibri nell’Ue
Ma se l’affondo di von der Leyen è stato la scossa, la reazione di Orbán non si è fatta attendere. Forte del sostegno (quasi incondizionato) del suo gruppo, ha ribadito che la presidenza ungherese del Consiglio Ue sarà il catalizzatore del cambiamento. Un cambiamento che, a suo dire, deve coinvolgere tutti i membri e riportare l’Unione a un passato (forse mai esistito) di sovranità nazionale e di rigida chiusura contro l’immigrazione.
In questo gioco delle parti, c’è stato un elemento che ha cambiato l’equilibrio. Manfred Weber, leader del Ppe, si è presentato al fianco di Peter Magyar, leader dell’opposizione ungherese, definendolo “la vera voce dell’Ungheria”. “Orbán è il passato, Magyar lo batterà”, ha dichiarato Weber, segnando un punto di rottura tra il Ppe e il Fidesz. E quando un leader come Weber arriva a fare un passo così netto, qualcosa sta davvero cambiando.
Ungheria nel mirino: finito il tempo del “laisser faire”
Sarà sufficiente? Difficile dirlo. L’Unione europea, in tutte le sue ramificazioni, ha tollerato troppo e troppo a lungo. Orbán non si è fatto scrupoli a proseguire sulla sua linea, consapevole che i richiami della Commissione spesso si traducono in poco più che dichiarazioni di principio.
Ma se la presidente della Commissione ha scelto questo momento per alzare il tiro è perché ha intuito che il tempo del “laisser-faire” è scaduto. Anche se le parole di oggi rischiano di rimanere un fuoco di paglia in questa partita Bruxelles non può permettersi di tornare indietro.
Tridico (M5S): “Da Orbán, propaganda e zero soluzioni”
Il capo delegazione a Bruxelles del M5s Pasquale Tridico spiega che “la propaganda di Orban è ormai un disco rotto”. L’eurodeputato sottolinea come Orbàn “nel suo intervento al Parlamento europeo non ha avanzato proposte, soluzioni o ricette per portare fuori l’Unione europea dal pantano in cui attualmente galleggia, incapace di imporre la pace in Ucraina e Medio Oriente, sottomessa ai giganti USA e Cina e ai loro potentati economici, miope davanti all’esigenza impellente di nuovi strumenti per combattere la stagnazione, le diseguaglianze, i tagli a sanità e istruzione”. Sulla stessa linea Nicola Zingaretti, capo delegazione eurodeputati Pd, secondo cui “Orban a Bruxelles conferma una cosa: il populismo ha slogan non soluzioni. Non ha una idea di Europa, la vuole solo distruggere”.
Insomma, è l’inizio di una guerra dialettica e politica in cui l’Unione, per una volta, sembra aver deciso di non fare più sconti a chi la tradisce dall’interno. Ma la domanda che resta è: Bruxelles avrà davvero il coraggio di spingersi fino in fondo?