Un anno di guerra, zero soluzioni: l’Ue alla prova del fuoco (e del fallimento)

A un anno dagli attacchi di Hamas, l'Ue resta paralizzata tra divisioni interne e incapacità di agire: una crisi di leadership.

Un anno di guerra, zero soluzioni: l’Ue alla prova del fuoco (e del fallimento)

Nel giorno in cui il mondo commemora il primo anniversario degli attacchi di Hamas contro Israele, l’Unione europea è la solita orchestra senza direttore, dove ogni musicista suona la propria partitura. È questo il quadro che emerge a un anno di distanza da quel tragico 7 ottobre 2023, con l’Ue incapace di trovare una voce comune su una delle crisi più complesse e durature del nostro tempo.

Mentre Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, partecipa alla cerimonia commemorativa per le 1.200 vittime israeliane e i 250 ostaggi, il Medio Oriente ribolle. Gaza continua a sanguinare sotto i bombardamenti, il Libano trema per gli scontri tra Israele e Hezbollah e l’Iran viene minacciato di rappresaglie. In questo scenario da polveriera, l’Ue si dimostra incapace di offrire una risposta unitaria e coerente.

L’Europa: un coro di voci stonate

L’Unione si presenta come un mosaico di posizioni contrastanti. Da un lato, Austria e Ungheria si ergono a paladini di Israele. Dall’altro, Irlanda, Spagna e Belgio alzano la voce in difesa dei palestinesi. In mezzo, una vasta gamma di sfumature diplomatiche che rendono impossibile qualsiasi azione comune efficace. Le tensioni non si limitano alle capitali europee. L’Irlanda, con i suoi 347 caschi blu in Libano, respinge con fermezza la richiesta israeliana di ritirare i peacekeepers, definendola “oltraggiosa”. La Francia di Macron, invocando un embargo sulle armi verso Israele, si attira le ire di Netanyahu che risponde con un video al vetriolo.

Silenzio assordante: il vuoto diplomatico dell’Ue

Mentre von der Leyen ribadisce la condanna di Hamas e la solidarietà a Israele, pur esprimendo preoccupazione per Gaza, Josep Borrell, Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, brilla per il suo silenzio. Un’assenza di comunicazione che parla più di mille dichiarazioni, evidenziando la paralisi decisionale ai vertici dell’Unione.

In una dichiarazione domenicale, von der Leyen ha affermato: “Non ci può essere alcuna giustificazione per gli atti di terrore di Hamas. Condanno ancora una volta, e nei termini più forti possibili, quegli attacchi barbari”. Ha inoltre ribadito la speranza dell’Ue per un cessate il fuoco immediato e il rilascio degli ostaggi rimanenti, deplorando la “terribile” situazione umanitaria a Gaza e mettendo in guardia contro una “spirale di violenza” in tutta la regione.

L’incapacità dell’Ue di parlare con una sola voce ha effetti devastanti sulla sua credibilità internazionale. Sul piano diplomatico, l’Europa si riduce a spettatore passivo di eventi che la riguardano da vicino. La sua autorevolezza come attore geopolitico viene minata alla radice, mentre gli sforzi umanitari, urgenti e necessari, vengono ostacolati dalla mancanza di coordinamento. Non da ultimo, le fratture interne all’Unione si allargano, minacciando la coesione su altri dossier cruciali. La posta in gioco non è solo la pace in Medio Oriente, ma la stessa credibilità dell’Unione come attore globale.

In Europa e nel mondo, migliaia di persone hanno partecipato a manifestazioni. Alcune si sono riunite in solidarietà con Israele, chiedendo il rilascio degli ostaggi rimanenti ma molte di più sono scese in piazza per protestare contro le operazioni militari israeliane. Le manifestazioni riflettono la divisione dell’opinione pubblica che si rispecchia nella frammentazione delle posizioni politiche all’interno dell’Ue. 

L’anniversario degli attacchi del 7 ottobre mette a nudo non solo la tragedia del conflitto israelo-palestinese ma anche l’inadeguatezza dell’Ue di fronte alle sfide geopolitiche del nostro tempo. In un mondo sempre più polarizzato e instabile l’Europa non può più permettersi il lusso di parlare con voci discordanti. Il risultato è una riduzione a un’appendice marginale nelle grandi partite geopolitiche, condannata all’irrilevanza proprio quando il suo ruolo sarebbe più necessario che mai.

La posta in gioco è alta: non solo il futuro del Medio Oriente ma anche il ruolo dell’Europa nel mondo del XXI secolo.