Ogni volta che si parla di cittadinanza c’è chi tira fuori il sangue, chi il cuore, chi le tradizioni ma la burocrazia è la fotografia del tilt.
Come riporta un illuminante articolo di Davide Leo per Pagella Politica, l’Italia mostra due facce quando si tratta di concedere la cittadinanza: una generosa e accogliente per chi può vantare un lontano avo emigrato, l’altra arcigna e diffidente per chi è nato e cresciuto sul suolo patrio.
Il paradosso dello ius sanguinis: quando un bisnonno vale più di una vita in Italia
Immaginate la scena: da una parte abbiamo Mario, nato a Buenos Aires, che non ha mai messo piede in Italia e non sa distinguere una carbonara da una amatriciana. Dall’altra c’è Fatima, nata e cresciuta a Milano, che mastica Dante a colazione e si nutre di Costituzione a cena. Indovinate chi ha più possibilità di ottenere il passaporto italiano?
Ebbene sì, il nostro Mario, armato di documenti ingialliti che attestano la sua discendenza da un bisnonno partito per l’Argentina nel lontano 1890, ha praticamente la cittadinanza in tasca. Fatima, invece, dovrà aspettare i 18 anni e dimostrare di aver vissuto ininterrottamente in Italia, come se i suoi 18 anni di vita, scuola e cultura italiane non fossero sufficienti.
È il trionfo dello ius sanguinis, il principio che fa scorrere la cittadinanza nelle vene come un’eredità genetica, indipendentemente da quanto quel sangue si sia diluito nei decenni o nei secoli. Un principio che, come ci ricorda Leo, affonda le sue radici in un’Italia di emigranti, cristallizzata in leggi che sembrano ignare del fatto che il mondo, nel frattempo, è cambiato.
Nel caso di Mario bisogna scavare negli archivi, setacciare documenti, dimostrare che nessun antenato abbia mai osato rinunciare alla sacra cittadinanza italiana. Un’impresa che, come racconta l’avvocata Giuditta De Ricco a Pagella Politica, spesso si trasforma in una vera e propria odissea burocratica, con tanto di ricorsi al tribunale.
Cittadinanza, l’odissea burocratica: tribunali in tilt e la nuova ondata di italiani sulla carta
E qui si apre il sipario sul secondo atto della commedia: i tribunali italiani, già oberati da processi infiniti e fascicoli polverosi, si trovano sommersi da migliaia di richieste di riconoscimento della cittadinanza. Il Tribunale di Venezia ad esempio è alle prese con oltre 18mila pratiche pendenti, che potrebbero interessare fino a centomila oriundi.
Ma chi sono questi novelli italiani? Secondo De Ricco, principalmente giovani studenti in cerca di un passaporto comodo per girare l’Europa, e pensionati desiderosi di godersi la dolce vita italiana. Niente di male, per carità. Ma viene da chiedersi se sia questo il criterio giusto per definire l’italianità.
Intanto, nel 2022, ben 41mila persone hanno ottenuto la cittadinanza italiana per ius sanguinis, la maggior parte proveniente dall’America Latina. Un esercito di nuovi italiani che, ironia della sorte, in molti casi non metterà mai piede nel Bel Paese, se non per sbrigare le pratiche burocratiche.
E qui si giunge all’apice del paradosso: questi neo-italiani, pur non conoscendo la lingua, la cultura o le tradizioni del paese, avranno diritto di voto. Potranno decidere le sorti politiche di un paese che conoscono solo attraverso i racconti sbiaditi di qualche avo lontano. Potrebbero persino votare contro un referendum che propone di facilitare l’ottenimento della cittadinanza per gli stranieri residenti in Italia da lungo tempo.
L’assurdità della situazione non è sfuggita a tutti. Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ha invocato una “riflessione” sulla questione. Forza Italia ha annunciato una proposta di legge per restringere le concessioni per ius sanguinis. Ma per ora, il sipario resta aperto su questa tragicommedia all’italiana.