Da una parte magistrati, giornalisti, Fnsi e Ordine. Dall’altra l’ex-Fi, ex-alfaniano, ex-Azione ora di nuovo Forza Italia, Enrico Costa. A dividerli (ma non da ieri) in Commissione Giustizia del Senato l’ennesima norma bavaglio sull’informazione.
Niente più ordinanze di custodia in pagina
Nello specifico, il decreto “per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (Ue) 2016/343, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza”. Ma è più facile chiamarlo bavaglio visto che il governo, grazie a un emendamento presentato proprio da Costa (quando era all’opposizione), intende vietare la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Tutti atti, ricordiamolo, pubblici, non coperti dal segreto d’indagine.
“Ce lo chiede l’Europa”, il mantra di comodo del governo
Al loro posto, i giornalisti potranno fare delle sintesi, ma non ripotarle letteralmente. Per il governo un atto dovuto perché “ce lo chiede l’Europa” (il mantra buono per ogni stagione) per garantire i diritti dell’arrestato. Due concetti smontati ieri dalla vice presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) Alessandra Maddalena. “Non si vieta di pubblicare per riassunto ma di pubblicare testualmente l’ordinanza. Ma l’osservazione che facciamo è che sostanzialmente in questo modo ci si affida alla sintesi più o meno corretta del giornalista ed è questo il vero vulnus che può subire l’indagato”, ha sottolineato. Per Maddalena “da una lettura approfondita della direttiva europea non ci sembra che vi sia un riferimento espresso, anche implicito, alla necessità di vietare la pubblicazione testuale delle ordinanze”.
Il paradosso: con il riassunto giornalistico si danneggia l’indagato
Per la vicepresidente dell’Anm “non si comprende il motivo per cui poi debba essere vietata la pubblicazione testuale con il rischio di una sintesi e una maggiore difficoltà di comunicazione a svantaggio dello stesso indagato: una comunicazione impropria, pregiudicata anche da una eventuale enfatizzazione come a volte negli organi di informazione, potrebbe generare nel sistema di opinione proprio quella certezza della colpevolezza prima della sentenza definitiva che la normativa europea vuole evitare”.
La Fnsi: “Un nuovo bavaglio all’informazione”
A sollevare più di un dubbio sulla norma, la Federazione nazionale della Stampa, che si è detta “assolutamente contraria a questo schema di decreto legislativo perché siamo convinti rappresenti un ulteriore passo nella direzione della limitazione di quegli imprescindibili bilanciamenti fra poteri che caratterizzano uno Stato di diritto”. Per Alessandra Costante e Vittorio di Trapani, segretaria generale e presidente Fnsi, si tratta di “un ulteriore intervento finalizzato a smantellare quei contropoteri, in questo caso l’informazione, che rendono viva e vitale la democrazia”.
Un bavaglio che, “più che tutelare la presunzione di innocenza, sembra voler stringere ancora di più le maglie della libertà di informazione e del diritto dei cittadini ad essere informati previsto dall’articolo 21 della Costituzione”.
Giornalisti più esposti alle cause di diffamazione
“Obbligando il giornalista a dare la notizia facendo una sintesi del provvedimento del giudici – hanno aggiunto i vertici della Fnsi – lo si espone al rischio di cause per diffamazione e a richieste di danni. Un quadro aggravato dal combinato disposto tra questa norma e la riforma della diffamazione che prevede sanzioni pecuniarie spropositate”.
Infine, “c’è un dibattito sotterraneo che sta emergendo sull’aumento delle sanzioni nel caso vi sia un’ondata di obiezione civile a questo provvedimento. È una cosa pericolosissima, che ancora una volta andrebbe a danno in particolare dei colleghi lavoratori autonomi, la parte più debole della categoria. I giornalisti – hanno concluso Costante e Di Trapani – hanno già un vasto codice deontologico che l’Ordine professionale è tenuto a far rispettare in caso di comportamenti che vanno oltre il diritto di cronaca”.
Ma Costa e Governo vanno avanti
Dal canto suo, Costa ha risposto serafico alle obiezioni, sostenendo che “santificano il processo mediatico e sacrificano la presunzione di innocenza, un principio nel nostro paese troppo spesso calpestato. Confido che la prossima settimana si possa rendere un parere al Governo per arrivare alla approvazione definitiva del testo”.