L’Aula della Camera ha bocciato l’’emendamento al ddl Lavoro che propone l’istituzione del Salario minimo presentato dalle opposizioni. Pietro Lorefice, senatore M5S e segretario della presidenza di Palazzo Madama, la vostra battaglia si ferma qui?
“Non si ferma qui non tanto, e non solo, la nostra battaglia, ma la battaglia di oltre 3 milioni di lavoratori sottopagati, a cui viene negato il diritto sancito dall’articolo 36 della Costituzione, ovvero una retribuzione adeguata a garantire un’esistenza libera e dignitosa. La maggior parte dei Paesi europei ha un salario minimo. Insigni economisti, come David Card, hanno vinto il Nobel per l’economia dimostrando che il salario minimo non diminuisce affatto l’occupazione ma è benefico. L’introduzione del salario minimo contribuirebbe anche a far crescere l’importo delle pensioni future, a sostenere l’economia e a combattere le disuguaglianze. C’è solo una ragione per la quale il Governo Meloni non lo vuole: mantenere i lavoratori il più possibile in condizioni di debolezza, nel perfetto solco dell’approccio economico neoliberista portato avanti da questa destra”.
L’Inps ha rilevato che all’incremento dell’occupazione non è corrisposto un aumento dei salari.
“L’Inps ha polverizzato due anni di squallida propaganda dei sovranisti ai quattro formaggi. L’Inps sbatte in faccia alla Meloni il fatto che i redditi reali dei lavoratori dipendenti italiani sono calati del 10% a causa dell’incomprensibile inerzia dell’Esecutivo di fronte alla fiammata dell’inflazione nel biennio 2022-2023. Il Governo Meloni, con il ministro Urso in prima fila, ha mandato avanti per qualche mese il cosiddetto ‘carrello tricolore’, una baracconata che non è stata minimamente in grado di proteggere il potere di acquisto degli italiani”.
Del resto c’è anche un problema di qualità dell’occupazione non solo di quantità. Tra gli occupati ci sono tanti contratti precari, part time involontari, somministrazione.
“Di fronte al suddetto disastro, purtroppo, poco conta il tanto sbandierato aumento dell’occupazione, soprattutto se si tace, come fa lo scomposto coretto della destra, che questo aumento è determinato soprattutto dalla chiusura di quasi tutti i canali di pensionamento anticipato ed è contraddistinto da lavoro essenzialmente povero, pagato male, precario, non in grado di sostenere consumi e domanda interna. Il Governo Meloni, purtroppo, ha sposato un modello di ‘economia da bar’, tutta basata su servizi a basso valore aggiunto e a basso contenuto tecnologico, il cui esito drammatico è proprio il basso livello di salari. E’ una scelta politica ben precisa, austera, elitaria”.
Il Senato ha dato il via libera al dl Omnibus. Una delle misure più criticate è il ravvedimento speciale per chi aderisce al concordato. Che vale un miliardo mentre il bonus Natale vale appena 100 milioni.
“Il Dl omnibus è lo specchio fedele, anche se in scala ridotta, del Governo Meloni. Da una parte si trovano appena 100 milioni per una mancetta natalizia e pre-elettorale a favore di una ristrettissima porzione di lavoratori dipendenti, che peraltro si devono attivare per la richiesta del bonus stesso. Per non parlare dei paletti: solo un coniuge deve percepire un reddito; quest’ultimo deve essere inferiore ai 28mila euro lordi annui; ci devono obbligatoriamente essere l’altro coniuge e almeno un figlio a carico, con un effetto ‘patriarcale’ che la dice lunga sul concetto di famiglia che ha l’Esecutivo. Dall’altra si rinuncia a quasi un miliardo di gettito confezionando un osceno condono alle partite Iva e agli autonomi per spingerli ad aderire al concordato fiscale. Il concordato fiscale è un abominio economico, di un mostro a due teste: un condono, esteso ai cinque anni che vanno dal 2018 al 2022, e un ricatto di Stato, con la minaccia di inserire le partite Iva che non aderiscono in una lista di soggetti da sottoporre ad accertamento in via prioritaria. E questo sarebbe il nuovo modello dei rapporti tra Fisco e contribuenti?”
Il governo sta pensando a un contributo di solidarietà per settori, come quello degli istituti di credito, che hanno macinato profitti. Ma sarebbe lontana anni luce la proposta dalla tassa sugli extra-profitti delle banche.
“Stiamo assistendo a una penosa sceneggiata. Il Governo Meloni, al di là delle sterili esibizioni muscolari, non ha il coraggio di tassare gli extraprofitti bancari, preferendo addirittura abdicare al potere impositivo dello Stato per esternalizzarlo alle banche, neanche fosse un servizio qualsiasi da appaltare all’esterno. Perché è proprio questa l’oscenità che si sta delineando: Meloni e Giorgetti si stanno facendo scrivere l’intervento dalle banche, ci rendiamo conto? Ed è già chiaro che le banche stanno scrivendo l’intervento non come tassa, neanche come contributo di solidarietà, ma come un anticipo di liquidità su tasse che le banche dovrebbero comunque pagare. Ma quanto deve essere forte il richiamo delle banche amiche? Di quelle che magari hanno un nome che comincia per M e finisce per M? Nel frattempo le famiglie alle prese con rate del mutuo schizzate negli ultimi due anni ringraziano sentitamente”.
Che ne pensa del Piano strutturale di bilancio presentato dal governo e rivisto con i nuovi dati Istat? E soprattutto: che Manovra dobbiamo aspettarci?
“Anche qui la televendita meloniana, in stile Wanna Marchi, prova a tenere nascosto un dato drammatico. Il Piano strutturale di bilancio, che lega mani e piedi l’Italia per i prossimi sette anni, ci dice che in media la spesa dello Stato può crescere solo dell’1,5% nominale. Cosa significa? Che la spesa reale, quella al netto dell’inflazione, è destinata a essere tagliata in modo crescente da qui ai prossimi anni. E se questa è la cornice, figuriamoci cosa potrà essere la prossima Manovra, condannata dallo stesso Governo a essere una macedonia di tagli. I dati ufficiali dell’Istat, non quelli della tombola giorgettiana, dicono che quando erano in vigore le misure del Conte II, ovvero Superbonus, Transizione 4.0, Reddito di cittadinanza, potenziamento del Fondo centrale di garanzia delle Pmi, Decontribuzione Sud, il Pil dell’Italia è cresciuto in due anni del 13,6% e il debito è sceso di 20 punti in tre anni. Mentre nel primo anno davvero inciso dalle politiche della Meloni, che ha cancellato o azzoppato tutte queste misure, la crescita ha chiuso al +0,7%. Ripeto: +0,7%. Il debito pubblico aumenta per questo, non per il Superbonus, i cui calcoli Giorgetti ha dimostrato di non saper fare da due anni a questa parte”.