di Gaetano Pedullà
Mettete un Paese allo stremo dopo due anni di recessione, con la disoccupazione ai massimi storici e un governo immobile che sta a guardare. Aggiungete un po’ di camionisti che scioperano e dietro di loro i clan mafiosi al Sud, gli antagonisti al Centro e i no-Tav al Nord. Scekerate col più incendiario dei nostri politici – Beppe Grillo – che prova a saldare la protesta con il disagio delle forze di polizia, ed ecco un piano perfetto per destabilizzare l’Italia. Se ne renda conto o no, il movimento dei forconi sta facendo scudo a interessi che nulla hanno a che vedere con la crisi dell’autotrasporto. D’altra parte non erano certo camionisti gli agitatori che hanno assalito i poliziotti in diverse città. E di sicuro non sono stati i camionisti con i loro stipendi da fame a tirar fuori i soldi necessari per organizzare una manifestazione così imponente da Torino a Palermo. Dunque chi c’è dietro alla protesta? Nella prima uscita dei forconi, in Sicilia, l’allora leader della Confindustria regionale Ivan Lobello, denunciò la presenza dei clan. Con l’approvvigionamento di carburanti e prodotti alimentari bloccato, fu facile taglieggiare le imprese che rischiavano di veder deperire le merci, facendo passare solo i mezzi “protetti”. Se poi consideriamo che questa è la settimana strategica per i rifornimenti agricoli del Natale, è facile capire la forza di ricatto e il danno economico arrecato a tutto il sistema economico. Possiamo considerare questo “costo” come l’effetto collaterale di un disagio che cova nel Paese? No, e per questo Grillo non ha scelto il tempo migliore per ricordarsi della frustrazione in cui vivono le nostre forze dell’ordine ridotte in povertà. Una situazione che questo giornale denuncia da tempo. Senza segnali dal governo, inevitabilmente però la protesta si allargherà ancora. E se a bloccare l’Italia non sarà più la Cgil (ormai del tutto filo-governativa) a fermarci saranno ogni sorta di indignati. Anche il crimine ringrazia.