Non c’è termometro migliore della disunità europea di lui. Non contento di tenere in ostaggio l’Unione Europea il premier ungherese, Viktor Orbán, ora estende la sua ombra persino sul G7.
Come scrivono David Carretta e Christian Spillmann nel loro Mattinale Europeo, Orbán sta ostacolando un prestito di 50 miliardi di dollari promesso dal G7 all’Ucraina. Il finanziamento, cruciale per sostenere Kyiv nell’acquisto di armi e nel mantenimento del bilancio corrente, rischia di naufragare a causa del possibile veto ungherese all’architettura finanziaria che l’UE sta cercando faticosamente di costruire.
Il meccanismo proposto prevedeva l’utilizzo dei proventi degli attivi sovrani russi congelati con le sanzioni. Un piano apparentemente semplice che si scontra con la realtà di un’Unione europea paralizzata dalla regola dell’unanimità. Orbán, con il suo diritto di veto, si trova nella posizione di poter bloccare non solo l’assistenza europea ma potenzialmente anche quella del G7.
Il piano B dell’Ue: aggirare il veto a tutti i costi
La situazione è talmente critica che, come rivelato dal Financial Times, l’UE sta già preparando un “piano B”. La Commissione potrebbe proporre un nuovo programma di assistenza macrofinanziaria, utilizzando il bilancio comunitario per fornire fino a 40 miliardi di euro a Kyiv. Una mossa che potrebbe essere approvata a maggioranza qualificata, aggirando così il veto ungherese.
Ma perché Orbán si ostina in questa posizione? Il premier ungherese sembra giocare una partita più ampia, scommettendo sul possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. La sua strategia quindi è di temporeggiare fino alle elezioni presidenziali americane del 5 novembre, nella convinzione che un’eventuale vittoria di Trump cambierebbe radicalmente gli equilibri e l’approccio occidentale verso l’Ucraina.
La scommessa di Orbán: temporeggiare fino alle elezioni USA
Non è la prima volta che Orbán usa il suo potere di veto come arma di ricatto politico. Dal blocco dei rimborsi per le armi fornite all’Ucraina al congelamento del Fondo di assistenza da 5 miliardi di euro il leader ungherese ha dimostrato di non avere remore nell’usare la sua posizione per perseguire interessi nazionali, spesso in contrasto con quelli dell’Unione.
La frustrazione all’interno dell’UE è palpabile. Josep Borrell, Alto rappresentante per gli affari esteri, ha espresso pubblicamente la sua esasperazione, promettendo di trovare un modo per aggirare il veto ungherese. Ma la realtà è che l’Unione si trova di fronte a un limite strutturale della sua capacità di azione imposto dalla regola dell’unanimità.
Mentre il primo ministro ungherese firma accordi su petrolio e gas con la Russia, sfruttando la sua posizione di “free rider” all’interno dell’UE, gli altri leader europei sembrano incapaci di trovare una soluzione efficace per contenere le sue azioni.
La situazione attuale mette in luce non solo la fragilità del consenso europeo su questioni cruciali come il sostegno all’Ucraina ma anche l’urgente necessità di riformare i meccanismi decisionali dell’Unione. La ricerca continua di espedienti per aggirare il veto di un singolo stato membro è un sintomo di un problema più ampio che richiede una riflessione seria sul futuro dell’integrazione europea.
Dove porta questo scenario è perfino scontato: l’Ucraina è la vittima collaterale di giochi politici interni all’Ue. Con un fabbisogno finanziario stimato di 35 miliardi di dollari per il prossimo anno, il paese ha un disperato bisogno di assistenza. Il tempo stringe, e mentre l’Ue cerca soluzioni alternative, la Russia continua la sua offensiva. Le tanto auspicate vie diplomatiche rimangono in pausa in attesa dell’evolversi degli eventi. La guerra intanto infiamma e Orbàn sorride.