Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu lo aveva detto. “Attaccheremo Hezbollah in Libano”. E ieri a mezzogiorno a Beirut, in Libano, e a Damasco, in Siria, sono esplosi contemporaneamente i cercapersone di miliziani Hezbollah. Il ministro della Sanità libanese ha annunciato che ci sono almeno 9 morti e oltre 2.750 feriti in seguito alle esplosioni.
Secondo una fonte vicina ai miliziani, è morta anche una bambina di 8 anni. L’ambasciata iraniana in Libano e la televisione di Stato iraniana hanno confermato che l’ambasciatore iraniano in Libano Mojtaba Amani, che ha utilizzato uno dei cercapersone, è rimasto leggermente ferito. Il primo ministro libanese Najib Mikati ha tenuto una riunione di gabinetto dopo le esplosioni simultanee che si sono verificate nel Paese.
Attacchi ad Hezbollah, le condanne a Israele
Il governo ha “condannato all’unanimità questa aggressione criminale israeliana, che viola palesemente la sovranità del Libano”, ha reso noto l’ufficio stampa al termine della riunione. Il portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite, Stéphane Dujarric, ha descritto gli sviluppi in Libano come “estremamente preoccupanti”.
Conferme sull’imminente escalation erano arrivate anche dal leader dell’opposizione israeliana, Yair Lapid, che da Washington ha espresso “scetticismo sulla possibilità che la diplomazia eviti un’incursione in Libano”. “Siamo stati flessibili e abbiamo dato molto tempo per una soluzione diplomatica. Ora siamo più vicini alla guerra, una guerra violenta che minaccerà molte parti di Israele. Chiunque abbia la capacità di scongiurare questa possibilità deve farlo”, è l’appello di Lapid.
Insomma, tutto appariva deciso, tanto che in contemporanea il maggiore generale israeliano Ori Gordin, capo del Comando settentrionale delle Forze di difesa, ha rivelato che l’esercito intende creare una zona cuscinetto al confine con il Libano. Se l’offensiva non era stata ancora lanciata, malgrado se ne parlasse da mesi, era per la contrarietà del ministro della Difesa, Yoav Gallant, convinto che questo non fosse il momento giusto per un’azione del genere.
Una posizione che ha fatto infuriare Netanyahu, al punto che si rincorrono voci di un possibile licenziamento dell’attuale ministro, che potrebbe essere sostituito dal parlamentare dell’opposizione e leader del partito di destra Unita, Gideon Sa’ar. Anzi, secondo il quotidiano Haaretz, il primo ministro di Israele e il deputato Sa’ar avrebbero già raggiunto l’accordo e concordato che, dopo la sostituzione di Gallant, decideranno congiuntamente il futuro capo dell’esercito israeliano.
Il rapporto
Intanto, nella Striscia di Gaza si continua a morire. Ma a far rumore sono soprattutto “il numero di bambini uccisi o feriti dalle forze israeliane e dai coloni in Cisgiordania”, che “è più che raddoppiato dallo scorso ottobre”, ossia da quand’è deflagrato il conflitto in Medio Oriente. A dirlo è Save The Children, secondo cui il “bilancio è di 158 bambini morti e oltre 1.400 feriti, e si teme che ci siano ulteriori vittime in seguito all’escalation di violenza delle ultime sei settimane”.
Secondo gli ultimi dati disponibili, “115 bambini sono stati colpiti a morte tra il 7 ottobre e il 14 agosto, il triplo rispetto ai 10 mesi precedenti. Altri sono stati uccisi in attacchi aerei e di droni”. Un report in cui si legge che “in totale sono 1.558 i bambini colpiti, ciò significa che da ottobre sono stati uccisi o feriti in media cinque bambini al giorno” in Cisgiordania, ossia in un territorio formalmente non in guerra. Per questo, l’organizzazione si appella alla comunità internazionale affinché convinca Netanyahu a fermare le ostilità.