L'Editoriale

Salvini & Co, degni eredi di Berlusconi

Salvini & Co, degni eredi di Berlusconi

“Quando tornerò al governo rifarò quello che ho fatto”, giurava nel 2019 Matteo Salvini, appreso dell’indagine a suo carico per la vicenda della nave Open Arms. Ma ora che dai Pm di Palermo è arrivata la richiesta di condanna a 6 anni di carcere per sequestro di persona, il copione dell’ex ministro dell’Interno (all’epoca dei fatti) e oggi vicepremier, è un po’ cambiato.

“Mi dichiaro colpevole di avere difeso l’Italia e gli italiani, mi dichiaro colpevole di avere mantenuto la parola data. Mai nessun governo e mai nessun ministro nella storia è stato messo sotto accusa e processato per avere difeso i confini del proprio Paese”. Insomma, dalla spavalderia del ministro di ferro, che rivendica fieramente il suo operato, al vittimismo dell’imputato dinanzi alla scoperta che neppure chi ricopre ruoli di governo è al di sopra della legge, il passo è decisamente breve.

Ma stupisce fino a un certo punto il contegno di Salvini: da imputato ha il diritto di difendersi come meglio ritiene. Sorprendono, invece, molto di più certe prese di posizione all’interno dell’esecutivo come pure quelle di autorevoli esponenti della maggioranza. “Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo, la mia totale solidarietà al ministro Salvini”, si è affrettata a dichiarare la premier Meloni. Dando manforte al suo ministro nello scontro ingaggiato con la Procura di Palermo, la stessa che la stessa presidente del Consiglio non esitò ad elogiare, un anno e mezzo fa, per l’arresto di Matteo Messina Denaro. Quando si dice due pesi e due misure.

Ma la premier è in buona compagnia. “Io ho fiducia piena nella giustizia, penso che la pubblica accusa in Italia, specie in processi come questo, non dico confonde, ma fa prevalere una tesi che noi avvocati conosciamo benissimo, che è quella che vuole affidare, soprattutto ai pubblici ministeri, un compito di interpretazione estensiva delle norme”. E ancora: “Non tocca alla magistratura correggere le norme, anche quando fossero sbagliate. Può solo applicare la legge, non correggere”. Parola di Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato, cioè vice del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che, costituzione alla mano, è pure il presidente del Consiglio superiore della magistratura.

Chissà che effetto avrà fatto al Colle la reprimenda di La Russa nei confronti delle toghe delle quali il capo dello Stato è garante dell’autonomia e dell’indipendenza da tutti gli altri poteri. Una cosa è certa. Nell’entrata a gamba tesa delle più alte cariche dello Stato, a cominciare dalla premier e dal presidente del Senato, emerge plasticamente come in questo Paese il berlusconismo, attraverso la sindrome dell’accerchiamento delle solite toghe rosse, sia sopravvissuto allo stesso Berlusconi.