C’era una volta, in un’Europa non troppo lontana, un’unità sanitaria che brillava sotto i riflettori. Reduce dalla pandemia di Covid-19, si era vista assegnare 5 miliardi di euro in più e persino una nuova agenzia per affrontare le crisi sanitarie. A guidarla, una commissaria esperta – Stella Kyriakides – con quattro decenni di esperienza nel ministero della salute del suo Paese.
Ma il vento è cambiato. Oggi, mentre i Paesi membri si contendono le poltrone di vertice della Commissione europea, il ruolo di commissario per la Salute sembra essere diventato l’ultimo dei desideri. Come riporta Politico, è sempre più probabile che finisca nelle mani di un piccolo Paese UE senza particolare interesse per il settore, e a un commissario privo di esperienza in materia.
La salute passa in secondo piano
È la parabola discendente di un settore che, dopo essere stato catapultato in cima all’agenda europea dalla pandemia, ora si ritrova a combattere per non precipitare nell’irrilevanza. Finanza e difesa lo stanno spingendo ai margini, mentre gli operatori del settore assistono impotenti al declino di un’opportunità che sembrava d’oro.
La European Public Health Alliance (EPHA) di Bruxelles non usa mezzi termini: “Le lezioni sulla centralità della salute in ogni area politica sembrano essere andate perse nella fretta di voltare pagina dopo la pandemia”. E non è difficile capire perché: con un neofita al timone, chi si occuperà dei dossier cruciali come la massiccia revisione delle regole che governano industrie come quella farmaceutica, un settore in cui l’Europa – come ha recentemente ammonito l’ex presidente della BCE Mario Draghi – è già in affanno rispetto a Stati Uniti e Asia?
Il paradosso è che i due candidati più ovvi per il ruolo si siano tirati indietro. Il ministro della Salute belga Frank Vandenbroucke, apprezzato per la sua lotta al tabagismo, e l’ex ministro della Salute maltese Chris Fearne, stimato per il suo lavoro sulla resistenza antimicrobica, sono fuori dai giochi. Il primo per una questione di quote rosa, il secondo per uno scandalo nazionale. Tra i nomi rimasti in lizza, nessuno sembra avere l’esperienza o l’interesse necessari per il ruolo.
Non solo una questione di nomi
Ma non è solo una questione di persone. I tagli al programma EU4Health, che ha visto sfumare un miliardo dei suoi 5,3 miliardi di euro per sostenere l’Ucraina, sono un altro segnale preoccupante. Un programma che ha finanziato di tutto, dalla ricerca sul long-Covid alle misure per trattenere gli infermieri, e che potrebbe non essere rinnovato dopo il 2027.
“Investire nella salute e nel benessere è una scelta ovvia da ogni punto di vista, inclusi quello finanziario, del mercato del lavoro, della coesione sociale e della democrazia”, afferma Silvia Ganzerla di EuroHealthNet. “La pandemia di Covid-19 è stata un campanello d’allarme per l’Europa, ma sembra che le lezioni siano già state dimenticate”.
C’è chi, come il deputato europeo del PPE Tomislav Sokol, vede in questi tagli un messaggio pericoloso: “Si sta mandando il messaggio che l’assistenza sanitaria non è importante, ed è un segnale contro cui dobbiamo assolutamente lottare” dice.
In tutto questo, l’unica speranza sembra essere riposta nella presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Sarà lei, in ultima analisi, a decidere quanto peso dare alla salute nel prossimo mandato. E qualche segnale positivo c’è: nel suo primo discorso ha accennato all’impatto dei social media sulla salute mentale dei giovani e ha promesso di affrontare gli attacchi informatici alle infrastrutture ospedaliere nei primi 100 giorni.
Basterà? In un’Europa che sembra aver già dimenticato le lezioni della pandemia, con un Parlamento sempre più polarizzato e una destra in ascesa, il rischio è che la salute torni ad essere il fanalino di coda dell’agenda politica. E questa volta, non ci sarà nessun virus a ricordarci quanto sia fondamentale.