“I minori stranieri che frequentano la scuola primaria, secondo i dati MIM, sono 315.906: il 14% degli iscritti (i dati si riferiscono alla primaria statale e non includono la Valle d’Aosta e le Province Autonome di Trento e Bolzano). Di questi, 4 su 5 provengono da un Paese extracomunitario e circa il 70% sono nati in Italia”.
A rilevarlo è uno studio della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. “La maggiore concentrazione si trova nelle aree del Nord Italia – si legge nell’analisi pubblicata su Informazioni Svimez – più attrattive in termini di opportunità occupazionali e retributive per i genitori, ma anche di accessibilità e qualità dei diritti essenziali per le famiglie. L’incidenza di stranieri sugli alunni della scuola primaria varia dal massimo del 23,2% dell’Emilia-Romagna al minimo del 3,2% della Sardegna.
“Lo Ius scholae è un investimento per il futuro del Paese”, lo afferma lo studio della Svimez
Tra le prime due regioni per numero assoluto di alunni della primaria, Lombardia e Campania, la differenza è di circa 17 punti percentuali: 22% contro il 4,5%”. Anche al Nord, la presenza di bambini stranieri si concentra nelle città metropolitane e nelle aree a maggiore densità produttiva, mentre tende a ridursi significativamente nei comuni delle aree interne (soprattutto in Piemonte e Liguria).
In tutto il Mezzogiorno, il dato cala in media a 5 bambini stranieri su 100 alunni, fanno eccezione alcuni comuni dell’entroterra calabrese e della provincia siciliana di Ragusa. La Svimez stima che nel 2024 sono circa 48.000 i bambini della scuola elementare che potrebbero acquisire il diritto alla cittadinanza italiana: oltre 1 su 4 risiede in Lombardia, il 12,8% in Emilia-Romagna, l’11,6% in Veneto e solo il 12,5% in tutto il Sud (dove è presente il 35,3% degli alunni della primaria).
L’analisi sullo Ius scholae di Svimez
Per il direttore generale della Svimez, Luca Bianchi: “Lo Ius Scholae – pensato per conferire la cittadinanza ai minori stranieri, nati in Italia o arrivati prima dei 12 anni, che hanno frequentato regolarmente almeno cinque anni di studio in Italia – rappresenta un atto necessario di uguaglianza sociale nei confronti di bambini e ragazzi ai quali non è riconosciuto lo status giuridico di cittadini italiani pur condividendone cultura, educazione e appartenenza”.
“La riforma è anche un’opportunità concreta per costruire una società più inclusiva e coesa, che investe sull’accoglienza per il futuro del Paese. Legare l’acquisizione dei diritti di cittadinanza al completamento di un ciclo di studi potrebbe incentivare la permanenza in Italia dei giovani con background migratorio e delle loro famiglie, contribuendo a ringiovanire la popolazione, contenere la riduzione delle iscrizioni nelle scuole e la conseguente chiusura dei presidii scolastici”, conclude.