Con l’accordo di tregua ancora nel limbo, la guerra nella Striscia di Gaza continua imperterrita a seminare morte e distruzione, con un bilancio di almeno 40.861 morti e 94.398 feriti. La cosa peggiore è che continuano a verificarsi incidenti e i soliti botta e risposta tra l’esercito israeliano (IDF) e le autorità palestinesi. L’ultimo episodio riguarda “l’attacco mirato” condotto dall’IDF che, secondo Tel Aviv, ha preso di mira “un gruppo di terroristi che operavano in un centro di comando e controllo utilizzato dalle organizzazioni terroristiche di Hamas e della Jihad islamica, situato nell’area umanitaria di Deir al-Balah”, nel centro della Striscia di Gaza.
Una ricostruzione che, però, viene seccamente smentita dall’agenzia di stampa palestinese Wafa, secondo cui non sarebbero stati presi di mira dei terroristi, ma semplici civili. In particolare, sempre secondo quanto riferiscono fonti palestinesi, almeno quattro persone sono morte e diverse altre sono rimaste ferite nel bombardamento israeliano sull’accampamento di sfollati nell’Ospedale dei Martiri di Al-Aqsa a Deir al-Balah. Come se non bastasse, l’IDF ha condotto ulteriori raid anche in Cisgiordania, durante i quali è stata colpita un’auto a Tubas, causando la morte di altre “cinque persone e il ferimento grave di un’altra”.
Un attacco che l’esercito israeliano ha ritenuto necessario perché, a suo dire, sulla vettura viaggiavano “terroristi armati che rappresentavano una minaccia” per i soldati nella zona. Del tutto diversa è la ricostruzione dei media palestinesi, secondo cui nel blitz è stato ucciso Muhammad Zubeidi, figlio del leader di Fatah, Zakaria Zubeidi, attualmente in carcere in Israele con l’accusa di molteplici attacchi terroristici.
A Gaza piovono bombe sugli sfollati e la pace si allontana
Così, mentre i combattimenti continuano furiosamente, con tanto di rappresaglia di Hezbollah che dal Libano ha lanciato diversi missili verso lo Stato ebraico, la pace appare ancora lontana. Di fatto, le trattative per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi sono in stallo da settimane e, secondo il New York Times, ciò dipende soprattutto dal primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, che starebbe “cercando di ritardare l’accordo per arrivare fino alle elezioni americane” quando, in caso di vittoria di Donald Trump, potrebbe ottenere condizioni maggiormente favorevoli.
A riferirlo alla testata americana sono stati diversi funzionari statunitensi che hanno chiesto l’anonimato, confidando di avere ben poche speranze di arrivare in tempi ragionevoli a un accordo tra Israele e Hamas. Dello stesso avviso è Hamas, che continua a sottolineare come Netanyahu continui a rifiutarsi di ritirare le truppe dal corridoio Philadelphi nella Striscia di Gaza meridionale, con una mossa che evidentemente “mira a ostacolare l’accordo per porre fine alla guerra e garantire il rilascio degli ostaggi”. I gruppi palestinesi avvertono inoltre i media locali di voler mettere “in guardia dal cadere nella trappola e nei trucchi di Netanyahu, poiché usa i negoziati per prolungare l’aggressione contro il nostro popolo”, ribadendo che “non c’è bisogno di nuove proposte di cessate il fuoco ed è tempo di fare pressione su Israele affinché si raggiunga un’intesa”.
Tornano le minacce dell’Iran a Israele
Proprio lo stallo nei negoziati, però, rischia di causare la tanto temuta escalation del conflitto mediorientale. A ricordarlo è il vice capo di Stato Maggiore delle forze armate iraniane, il generale di brigata Ali Abdollahi, secondo cui Israele non dovrebbe dubitare della risposta dell’Iran all’uccisione del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran, avvenuta alla fine dello scorso luglio. “Il regime sionista non dovrebbe sognare che l’Iran non risponda a questa atrocità… perché la Repubblica islamica ha (già) dimostrato la sua volontà di impiegare tutte le sue capacità per rispondere alla violazione del suo suolo e delle sue acque da parte dei nemici”. “Il momento della risposta, tuttavia, sarà determinato dal leader e dai comandanti senior del Paese”, ha aggiunto Abdollahi.
Amnesty chiede una nuova indagine per crimini di guerra: “a Gaza vogliono realizzare una zona cuscinetto”
Intanto, Amnesty International torna a sfidare Netanyahu chiedendo che sia aperta un’indagine internazionale per “crimini di guerra” contro l’esercito israeliano, accusato di avere “distrutto ingiustificatamente interi quartieri di Gaza” lungo il confine dell’enclave palestinese con Israele per crearvi una zona cuscinetto. Secondo l’ONG per i diritti umani, tra ottobre 2023 e maggio 2024, su un’ampia fascia compresa tra 1 e 1,8 km lungo questo muro, oltre il 90% degli edifici sembra essere stato “distrutto o gravemente danneggiato” e il 59% dei raccolti si è deteriorato.
Sempre secondo Amnesty, i danni coprono un “totale di 58 km², ovvero circa il 16% del territorio della Striscia di Gaza”. Inoltre, in quattro aree, come raccontato dall’ONG, “le strutture sono state deliberatamente e sistematicamente demolite” dopo che l’esercito israeliano ne ha preso il controllo. Per questo Erika Guevara-Ross, direttrice generale di Amnesty International, ha spiegato che “la creazione di una zona cuscinetto non dovrebbe in alcun modo costituire una sanzione collettiva per la popolazione civile palestinese che viveva in queste zone. Nessun obiettivo militare può giustificare la portata di questa distruzione massiccia e sistematica”, che “deve quindi essere indagata come crimine di guerra”.