A Bruxelles un intrigo politico minaccia la credibilità dell‘Unione europea. Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, affronta una sfida imprevista: comporre una Commissione che rispecchi l’equilibrio di genere, principio tanto sbandierato quanto apparentemente irraggiungibile.
Dopo aver guidato l’Ue attraverso pandemia e crisi ucraina, von der Leyen si trova ora impantanata in una palude di resistenze che minacciano di vanificare gli sforzi per la parità di genere. Il quadro è preoccupante: solo nove donne nominate dai paesi membri, escludendo la Presidente stessa. Un numero che rappresenterebbe un passo indietro, un colpo all’immagine di un’Unione che si vanta di promuovere l’uguaglianza.
La situazione assume contorni grotteschi considerando l’esistenza di una “commissaria per l’uguaglianza”. Come può un’istituzione che predica l’uguaglianza fallire così clamorosamente nel metterla in pratica? È una domanda che genera imbarazzo e frustrazione nei corridoi di Bruxelles.
Il paradosso dell’uguaglianza: quando la teoria si scontra con la pratica
Le ragioni addotte dai paesi membri per giustificare la penuria di candidature femminili sono varie e, in alcuni casi, francamente deboli. Si va dalle dinamiche di coalizione interne ai singoli paesi, che limiterebbero la libertà di scelta dei leader, a considerazioni di politica domestica che vedrebbero nella nomina a commissario europeo un modo per “liberarsi” di figure scomode o, al contrario, per premiare fedeli alleati. Motivazioni che, se possono avere una logica nella miope prospettiva nazionale, appaiono francamente inadeguate di fronte alla sfida di costruire un’Europa più equa e rappresentativa.
Von der Leyen non si arrende. Sta cercando di persuadere, pressare e quasi costringere i paesi recalcitranti a riconsiderare le loro scelte. Belgio e Romania hanno ceduto, altri come Slovenia e Malta sono sotto pressione. È una partita a scacchi politica dove ogni mossa può determinare il successo o il fallimento di un principio fondamentale.
Il rischio è che questa battaglia si trasformi in un boomerang per von der Leyen. La sua richiesta di ricevere due nomi (maschio e femmina) per ogni posizione è stata largamente ignorata, in quello che appare come un atto di sfida alla sua autorità. Una sfida che potrebbe minare la sua leadership già all’inizio del secondo mandato.
La partita a scacchi di von der Leyen: strategie e rischi di una battaglia cruciale
C’è chi sussurra che von der Leyen stia pagando il prezzo di un approccio troppo assertivo, percepito come un’ingerenza nelle prerogative nazionali. Altri puntano il dito contro l’apatia dell’opinione pubblica, come se la parità di genere fosse un lusso da tempi di bonaccia.
La verità sta nel mezzo. La battaglia per la parità nelle istituzioni europee riflette una lotta più ampia nelle società dei paesi membri. Una lotta contro pregiudizi radicati, strutture di potere consolidate, una visione della leadership ancora troppo spesso declinata al maschile.
Un eventuale fallimento non sarebbe solo una sconfitta personale per von der Leyen ma un segnale preoccupante per tutta l’Unione. Confermerebbe che, nonostante i proclami, l’Europa è ancora lontana dal realizzare l’uguaglianza che predica.
La speranza è ora riposta nel Parlamento europeo. L’assemblea di Strasburgo potrebbe bocciare alcune nomine maschili, forzando alternative femminili. Una soluzione in extremis, non priva di rischi, ma forse l’ultima chance per salvare il principio della parità nella Commissione.
La palla è nel campo dei leader nazionali: saranno all’altezza della sfida? La risposta a questa domanda determinerà non solo il futuro della Commissione von der Leyen ma anche la credibilità dell’Unione Europea come baluardo di uguaglianza e progresso. Il tempo stringe e i cittadini europei osservano.