Il 6 gennaio scorso, con un paradosso, riportammo su La Notizia le dichiarazioni di Giorgia Meloni a commento dell’inchiesta Anas, che coinvolgeva a vario titolo Denis e Tommaso Verdini, rispettivamente suocero e cognato del ministro Matteo Salvini. Durante la conferenza stampa di inizio anno la premier rispose così: “Penso che sulla questione bisogna attendere il lavoro della Magistratura, gli sviluppi, se necessario commentare quelli e non i teoremi. Da quello che ho letto le intercettazioni fanno riferimento al precedente governo, Salvini non è chiamato in causa e ritengo che non debba intervenire in Aula su questa materia”.
Senza arrivare al 2025 le cose hanno preso una piega persino peggiore rispetto alle più apocalittiche previsioni grazie ad un altro provvedimento (varato dal governo Draghi) salutato da buona parte della politica come il trionfo del garantismo. Abbiamo saputo solo poche ore fa di un arrestato lo scorso marzo per femminicidio. E ascoltato la denuncia del procuratore di Termini Imerese che, riguardo al naufragio dello yacht Bayesian, ha giustificato il suo silenzio sulla vicenda citando i divieti imposti dal “decreto del 2006”, modificato nel 2021 dalla cosiddetta norma bavaglio della ministra Cartabia, che vieta alle toghe “di fare dichiarazioni se non in occasioni particolari”.
Risultato. In nome della presunzione di innocenza si è scelto di sacrificare il diritto di informare ed essere informati. Come volevasi dimostrare.