Da oltre dieci giorni, il Medio Oriente e il mondo intero trattengono il fiato in attesa dell’annunciata rappresaglia dell’Iran per ‘vendicare’ l’uccisione a Teheran, compiuta da Israele, del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Un contrattacco che tarda ad arrivare, ma che, come suggeriscono numerosi segnali, è ormai imminente e potrebbe verificarsi nelle prossime ore o al più tardi prima di Ferragosto.
Contrariamente a quanto si possa pensare, si tratta di due date simboliche scelte con cura: nel primo caso, l’esercito della Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, potrebbe sfruttare le commemorazioni israeliane per la distruzione a Gerusalemme del Primo Tempio, avvenuta nel 586 a.C., e del Secondo, risalente al 70 d.C.; nel secondo caso, si punterebbe a colpire prima della ripresa dei negoziati con Hamas per cercare una exit strategy dal conflitto.
L’Iran è pronto e da un momento all’altro lancerà la controffensiva contro Israele. E Biden corre in soccorso di Netanyahu
Che tutto sia pronto lo fa pensare il fatto che il comandante dell’Aeronautica israeliana, il generale Tomer Bar, ha sospeso in fretta e furia le ferie all’estero del personale militare di carriera, mentre gli Stati Uniti di Joe Biden hanno accelerato lo schieramento della portaerei USS Abraham Lincoln e del sommergibile lanciamissili nucleare USS Georgia nell’area. Queste unità si uniranno al contingente, che include la portaerei USS Theodore Roosevelt e altre fregate.
Una flotta imponente che, come spiegato dal portavoce del Pentagono, Pat Ryder, dovrà “difendere Israele” da “un attacco su larga scala” da parte degli Hezbollah libanesi e dell’Iran. Inoltre, nelle ultime ore, secondo quanto riportato da Axios, i servizi di intelligence occidentali hanno notato “preparativi militari dell’Iran” che suggeriscono che Teheran si stia preparando a lanciare un’offensiva ben più grande di quella di aprile. Israele, come riporta il quotidiano Haaretz, si aspetta un attacco su vasta scala prima del vertice, previsto per giovedì, richiesto da Stati Uniti, Egitto e Qatar per arrivare a un cessate il fuoco a Gaza.
Negoziati in cui il nuovo capo di Hamas, Yahia Sinwar, confida di poter raggiungere un accordo, anche se ha fatto sapere che non manderà mediatori diretti perché pretende che la trattativa si basi sulla bozza proposta dal presidente Biden, già approvata dall’ONU, anziché sulle più recenti proposte di Benjamin Netanyahu, considerate “irricevibili”.
Sull’Iran e sul Medio Oriente, la diplomazia è in panne
In tutto questo caos, la diplomazia occidentale sembra sempre più in panne. A far discutere è la dichiarazione congiunta del presidente francese Emmanuel Macron, del cancelliere tedesco Olaf Scholz e del premier britannico Keir Starmer, che, dopo aver taciuto sul raid israeliano a Teheran, chiedono all’Iran di astenersi da una risposta che, norme internazionali alla mano, sarebbe perfettamente lecita.
“Invitiamo l’Iran e i suoi alleati ad astenersi da attacchi che potrebbero ulteriormente aumentare le tensioni regionali e mettere a repentaglio l’opportunità di concordare un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi”, si legge nel testo. Nella missiva, i tre leader riaffermano il loro sostegno alle trattative di pace, spiegando che “i combattimenti devono finire ora e tutti gli ostaggi ancora detenuti da Hamas devono essere rilasciati”, per poi attribuire ogni responsabilità all’Iran, che, se attaccherà Israele, “si assumerà la responsabilità delle azioni che metteranno a repentaglio questa opportunità di pace e stabilità”.
Le altre rogne di Bibi
Intanto, nel governo Netanyahu continua a crescere la tensione. A scatenare l’ennesimo scontro è stato il ministro della Difesa, Yoav Gallant, che ha criticato il primo ministro di Israele: “Sento parlare di ‘vittoria assoluta’ e usare un gergo incomprensibile che rischia di allargare il conflitto ai miliziani di Hezbollah. Le condizioni odierne per la guerra in Libano sono diverse da quelle all’inizio della guerra lo scorso ottobre”. Frasi a cui ha risposto l’ufficio di Netanyahu, spiegando che “quando Gallant adotta una narrazione anti-israeliana, danneggia le possibilità di raggiungere un accordo sugli ostaggi”, ricordando che anche il ministro della Difesa è “vincolato dalla vittoria assoluta” e che “avrebbe dovuto attaccare” Sinwar, reo di rifiutare “di inviare una delegazione ai negoziati” di pace.
Insomma, a Tel Aviv l’aria è pesante, ma questo non è tutto. Yair Golan, leader del partito di sinistra israeliano dei Democratici ed ex vice capo di stato maggiore dell’IDF, in un’intervista al Guardian ha detto di “non essere sicuro che Israele sia davvero uno Stato democratico in questo momento. Non è più una questione di sinistra o destra: queste definizioni non hanno più senso”. Polemiche a cui si aggiungono le tensioni con l’UE, che valuta di sanzionare il governo di Tel Aviv nel caso in cui non prenderà le distanze dai ministri di estrema destra Ben Gvir e Smotrich, che continuano a spingere per una guerra senza fine.