“Io non mi dimetto”. Così il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, indagato per concorso in corruzione per le presunte trattative sulla vendita del terreno dei Pili (di sua proprietà) e di un palazzo comunale, ha voluto chiarire qual è la sua personalissima posizione circa l’indagine che ha investito lui e i suoi più stretti collaboratori. E lo ha fatto oggi nel corso del Consiglio comunale straordinario chiesto e ottenuto dall’opposizione.
Brugnaro: “Esistono un diritto e dovere a rimanere in carica”
Per Brugnaro esistono “un diritto e dovere di fare indagini, di accusare e di difendersi”, è un “diritto e soprattutto un dovere di rimanere in carica per non tradire il mandato ricevuto dai cittadini e le loro legittime aspettative di veder concludere le opere iniziate”. “Lotterò per dimostrare la mia onestà” ha aggiunto il sindaco nel clima infuocato della riunione, contrassegnata dalle continue invettive del pubblico presente in sala e dalla folla che in strada intonava cori affinché “se ne andasse da Venezia”.
In aula ha tentato di spiegare le intercettazioni agli atti
“Mai e poi mai avrei immaginato una cosa del genere e, per essere ancora più chiaro, non se so assolutamente nulla” ha dichiarato riferito all’indagine. “Ho letto sui giornali intercettazioni che mi riguardano – ha detto – Vorrei spiegare in modo chiaro che in quelle occasioni ero molto arrabbiato e infastidito dal comportamento dell’assessore”. Il riferimento è all’ex assessore Renato Boraso, il suo ex braccio destro, in carcere da metà luglio perché accusato di corruzione e auto-riciclaggio, perché avrebbe ottenuto tangenti da varie imprese per favorirle negli appalti pubblici o per modificare piani regolatori.
Getta tutta la responsabilità sul suo ex assessore Boraso
“Se avessi avuto dubbi, avrei revocato le sue deleghe e denunciato tutto”, ha aggiunto Brugnaro, che di fatto ha scaricato sul suo ex protetto ogni responsabilità. “Ho chiesto una indagine interna su ogni atto e sull’operato di Boraso, poi tutto sarà relazionato in Consiglio e alle Commissioni competenti”. In merito alle intercettazioni, Brugnaro ha poi spiegato che il suo “riferimento a ‘stanno domandando anche a me se tu domandi soldi’ (detto da Brugnaro a Boraso, ndr) lo spiego perché ero molto arrabbiato e nel dubbio, anche per provocarlo e vedere come avrebbe reagito, volevo capire se fosse uscito qualcosa di più. Ma mai avrei anche solo lontanamente immaginato una tale situazione. Urlandogli contro, volevo fargli capire che il suo approccio, legato alla continua richiesta di appuntamenti ed azioni da fare, da progettare, di cui alcune delle quali dal mio punto di vista era giusto approfondirne la fattibilità, era sbagliato”.
Infine il sindaco ha ricordato che “sono un uomo con un incarico pubblico ed è giusto che dia spiegazioni pubblicamente del mio operato, in merito all’inchiesta che mi vede indagato”. Peccato che il giorno dopo lo scoppio dell’inchiesta, aveva detto che avrebbe riferito sui fatti solo il 9 settembre, per evitare strumentalizzazioni. Deve aver cambiato idea, evidentemente.