Prima una tirata d’orecchi a Benjamin Netanyahu perché l’omicidio del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, colpito da un missile a Teheran, in Iran, “non aiuta gli sforzi per garantire un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza”, poi la promessa che in ogni caso gli Stati Uniti saranno in prima linea a difendere Israele in caso di una più che probabile vendetta iraniana. Il presidente uscente degli Stati Uniti, Joe Biden, non le manda a dire al primo ministro di Israele, con cui ha avuto un colloquio telefonico “molto acceso”, perché sa bene che questa volta è stata superata una “linea rossa” che rischia di far definitivamente deflagrare il conflitto mediorientale.
“La vendetta iraniana è solo questione di tempo”
Del resto, come riferito da tre fonti americane ad Axios, l’amministrazione Biden è convinta che l’Iran attaccherà Israele nei prossimi giorni. Insomma, non è più questione di “se” ci sarà una reazione, ma “quando”. Proprio per questo, durante la conversazione telefonica con Netanyahu, a cui ha preso parte anche la vice Kamala Harris, il leader di Washington “ha discusso gli sforzi per sostenere la difesa di Israele contro le minacce” ormai incombenti, “compresi i missili balistici e i droni, per includere nuovi dispiegamenti militari difensivi degli Stati Uniti”.
Infatti, l’intelligence americana ritiene probabile che Teheran possa replicare quanto già visto con l’attacco del 13 aprile scorso, quando l’Iran ha lanciato un massiccio attacco su Israele in risposta al raid di Tel Aviv sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che fortunatamente non ha causato danni. Il problema è che in quell’occasione gli USA erano riusciti a garantirsi l’appoggio delle altre forze arabe dell’area, decise a evitare un’escalation, mentre ora gli esperti del Pentagono ritengono “difficile” che un simile schema possa ripetersi.
Le nuove minacce dell’Iran
Che la situazione sia grave e che tutti stiano soltanto aspettando la reazione di Teheran, lo si capisce anche dal fatto che le forze di difesa israeliane (Idf) sono in “stato di massima allerta” malgrado lo spionaggio americano “non avrebbe ricevuto ancora alcun segnale che indichi l’imminenza di un attacco”. Insomma, Teheran starebbe valutando “come e quando rispondere”, preferendo, per il momento, limitarsi a minacciare Tel Aviv, come successo anche ieri quando il ministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri Kani, ha dichiarato che “negli ultimi dieci mesi, Israele ha causato spargimenti di sangue e distruzione nella Striscia di Gaza, e ora ha esteso la gamma dei suoi crimini a Beirut, Teheran e Yemen, e se i criminali terroristi non verranno fermati, metteranno seriamente in pericolo la pace e la sicurezza nella regione e nel mondo”.
Gli altri problemi di Netanyahu oltre all’annunciata vendetta iraniana
Ma per Netanyahu queste sono ore difficili perché è stato diffuso il rapporto internazionale sull’attacco del primo aprile scorso, a Gaza, in cui hanno perso la vita sette operatori umanitari della Ong World Central Kitchen (WCK). Secondo l’indagine, affidata all’ex capo dell’aeronautica Mark Binskin, l’incidente è stato il risultato di “gravi fallimenti” da parte dell’esercito israeliano.
Nel documento si legge che l’attacco “non è stato diretto consapevolmente o deliberatamente contro la WCK”, ma probabilmente è avvenuto in quanto l’esercito dello Stato ebraico avrebbe “scambiato il convoglio umanitario per un convoglio del movimento islamico palestinese Hamas” a causa della presenza, sul tetto di uno dei camion, di una guardia di sicurezza apparentemente armata che lavorava per la WCK.
L’analisi spietata di Haaretz che imbarazza il leader di Tel Aviv
Guai che per Netanyahu non finiscono qui visto che Haaretz, quotidiano israeliano, ha pubblicato un duro articolo in cui si sostiene che il primo ministro di Israele in questo conflitto “ha un suo programma, e riportare a casa gli ostaggi non è in cima alla lista”.
In particolare, prosegue l’analisi, “è interessato a continuare a portare avanti la guerra a Gaza senza alcun cambiamento nell’assegnazione delle forze che operano lì contro Hamas”, con il risultato che “le possibilità che un accordo sugli ostaggi venga portato a termine, nonostante il dichiarato sostegno dell’establishment della Difesa israeliana, sono ora prossime allo zero, dati i cambiamenti nell’ordine regionale” dopo le operazioni militari che hanno portato alla morte di alcuni dei principali leader del movimento estremista palestinese Hamas, tra cui il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh.