Israele sta andando troppo in là. L’uccisione del capo di Hamas, Ismail Haniyeh, con un attentato a Teheran, è una provocazione e farà scoppiare altri incendi.
Guido Donati
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Gentile lettore, è evidente che Bibi Netanyahu vuole allargare la crisi per rimanere al potere e sfuggire ancora a lungo ai processi che lo attendono in Israele per corruzione. Per farlo deve provocare conflitti, così che il governo non possa dimettersi. A tale fine Netanyahu non si fa scrupoli: additato dal Tribunale dell’Onu come imputato di genocidio e dal Tribunale penale dell’Aja come criminale di guerra con richiesta pendente di arresto, Bibi agisce spudoratamente al di fuori di ogni legge e lo fa col consenso di tutto l’establishment politico israeliano, ma soprattutto con lo scudo dell’America e dell’Ue. Washington lo ha accolto giorni fa al Congresso con applausi a scena aperta e ora dice che, se Israele sarà attaccato, l’America interverrà a sua difesa. Buon sangue non mente: per guerre e stragi si può sempre contare sull’amico yankee. L’Ue tace. Neppure una parola di condanna per l’omicidio, anzi gli omicidi, perché 24 ore prima Israele aveva assassinato a Beirut il numero 2 di Hezbollah. Immagini il can-can se, a parti invertite, l’Iran avesse ucciso qualcuno a Tel Aviv. Per ulteriore infamia c’è che Israele preparava l’omicidio di Haniyeh mentre trattava con lui in Qatar per liberare gli ostaggi e riportare la pace a Gaza. La pace: parola buona per lucidare le scarpe di Bibi. In Iran, sulla moschea Jamkaran nella città santa di Qom è stata issata la bandiera rossa: significa vendetta. Quel che Netanyahu vuole.
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