Il Nursind è il primo sindacato infermieristico in Italia con 52 mila iscritti, di cui 47 mila dipendenti del Servizio sanitario nazionale. Ieri ha annunciato lo stato di agitazione di tutto il personale del comparto, prefigurando “lo sciopero in autunno”. Con la solidarietà dei partiti di opposizione, dal M5S al Pd.
Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind, ci spiega i motivi di questo stato di agitazione?
“Perché un altro atto legislativo, in questo caso un decreto e quindi una misura urgente e necessaria per la riduzione delle liste d’attesa, che poteva essere il veicolo per la valorizzazione delle professioni sanitarie non mediche, ancora una volta è stata un’occasione persa. Il governo, nello specifico il ministero della Salute, ha bocciato quegli emendamenti che interessavano queste professioni, non solo gli infermieri. Anche per esempio i tecnici di radiologia medica, che con una maggiore autonomia potrebbero contribuire a ridurre significativamente le liste d’attesa per tac, risonanze magnetiche e altri esami radiologici. Tornando agli infermieri, dare maggiore autonomia alla categoria, attraverso medicazioni, visite di controllo o prescrizioni di presidi sanitari, consentirebbe di liberare tempo ai medici”.
Si parla di carenza degli infermieri.
“La carenza infermieristica è il vero problema del Servizio sanitario nazionale a detta di tutti, compreso il ministero della Salute. Sono 65 mila gli infermieri che mancano in Italia, mentre secondo gli standard Ocse dovrebbero esserci tre infermieri per ogni medico. Il Pnrr prevede, tra l’altro, l’apertura di case della salute e ospedali di comunità e contempla la nuova figura dell’infermiere di famiglia. Ma anche su questo fronte il rischio è che si realizzino cattedrali nel deserto perché servirebbero altri 20mila infermieri. Siccome già gli ospedali per forza di cose sono stati costretti a riorganizzarsi, il prossimo passo sarà la chiusura di interi reparti e piccoli ospedali. La situazione è talmente critica che, con la previsione che dal 2028 inizierà la gobba pensionistica per il personale infermieristico, non saremo in grado di garantire neanche il turnover. Ci saranno infatti più pensionati che laureati”.
Perché parlate di demansionamento? “Soprattutto nelle regioni del Centro-Sud Italia in molte realtà non ci sono le figure di supporto alla professione infermieristica. Gli infermieri fanno tutto: pulire gli arredi, sistemare i carrelli, occuparsi di aprire e chiudere le tapparelle. Si tratta di mansioni esterne al proprio profilo. Ma così sprechiamo una risorsa importante che dev’essere dedicata all’assistenza e alla pianificazione dei bisogni del paziente e non a sistemare la spazzatura”.
Le risorse stanziate per il rinnovo del contratto di comparto sono sufficienti?
“Non lo sono affatto. Secondo l’Ocse noi abbiamo una retribuzione che è il 23% in meno della media. Le risorse stanziate sono il 5,78% del monte salari 2021. Nel triennio del rinnovo, tra l’altro, l’inflazione è arrivata al 17%. Siamo i nuovi poveri e questo è il principale motivo per cui è poco attrattiva la nostra professione”.
Voi denunciate il mancato riconoscimento del lavoro infermieristico quale usurante.
“E’ una battaglia che portiamo avanti da quando è nato il nostro sindacato. Abbiamo il grosso problema dell’innalzamento dell’età anagrafica. Rimanendo in servizio sempre di più, infatti, il nostro lavoro è usurante e non è sostituibile dall’intelligenza artificiale. Non viviamo dietro una scrivania a fare ricette, ma viviamo accanto al letto del paziente, la cui cura è sulle nostre spalle. È un lavoro duro fisicamente e mentalmente perché abbiamo su di noi la responsabilità di quel paziente. Dopo il Covid c’è stato, non a caso, un aumento esponenziale delle dimissioni precoci da parte degli infermieri”.
Ieri è arrivato alla Camera il decreto sulle liste d’attesa. Che ne pensa?
“Si tratta di un decreto che non ha copertura finanziaria. L’unica misura finanziata è la detassazione delle prestazioni aggiuntive. Oltre a un nuovo organismo presso il ministero della Salute che contempla altre 24 nuove assunzioni. Come si fa ad abbattere le liste d’attesa senza finanziamenti?”.
Il governo vi ha mai ricevuti?
“Inizialmente sì. Aveva anche istituito un tavolo sulla revisione dei Dm 70 e 77, in merito rispettivamente agli standard per le strutture ospedaliere e per l’assistenza territoriale. Il problema è che da più di un anno attendiamo la chiusura dei lavori, dopo aver inoltrato le nostre proposte. Da due mesi siamo in attesa di un incontro al Ministero. Non male per essere il primo sindacato infermieristico in Italia. Già con lo sciopero dello scorso anno abbiamo dimostrato cosa significa la carenza infermieristica: sale operatorie e ambulatori chiusi. Eppure noi abbiamo in Italia un commissario per il granchio blu, ma non per la carenza di infermieri, come in Canada”.
Perché in Italia si investe così poco sulla sanità?
“Si investe poco sulla sanità pubblica più che altro, perché la sanità privata si ingrassa invece. Il problema è che noi abbiamo potenzialmente uno dei migliori servizi sanitari al mondo. Abbiamo la possibilità di farlo funzionare al meglio perché ci sono le professionalità, però non si investe su queste ultime. Abbiamo bisogno di incentivare il personale a rimanere all’interno del sistema, perché con condizioni di lavoro sempre più gravose, gli infermieri si stancano e lasciano il pubblico per il privato dove si guadagna di più e si lavora su programmazione. Ecco che se venisse data la possibilità di ampliare le competenze delle professioni sanitarie – da noi il sistema è molto medico-centrico – qualcosa forse potrebbe cambiare. Anche per abbattere le liste d’attesa. E qui ritorniamo a quello che dicevamo al principio”.