Ogni mattina qualcuno dalle parti della Lega di Salvini si alza e sa che dovrà correre più veloce dei suoi compagni di partito per spararla grossa e meritarsi un posto al sole. L’operazione è perigliosa e complicata poiché nella savana dei leghisti abitano esemplari irraggiungibili nell’istigazione. Qualche giorno fa il senatore leghista Manfredi Potenti ha pensato che sarebbe stata una buona idea multare fino a 5 mila euro chi chiama al femminile le cariche o i titoli rivestiti dalle donne (tipo sindaca o avvocata). Un multa per utilizzo non condiviso della lingua è una legge troppo ambiziosa perfino per Putin o per Kim Jong-un. Ogni giorno la stampa deve perdere tempo, spazio e fatica per riportare in cronaca le gesta di qualche parlamentare naïf. Inevitabile è anche lo sdegno misto alla risata imbarazzata dei lettori e degli elettori.
Ogni mattina qualche dirigente della Lega deve svegliare presto il suo addetto stampa per vergare un comunicato in cui il partito prende le distanze dalle affermazioni di un suo parlamentare. Ieri è accaduto al capogruppo al Senato della Lega Massimiliano Romeo per dirci che i vertici del partito “non condividono quanto riportato nel ddl Potenti il cui testo non rispecchia in alcun modo la linea della Lega che ne ha già chiesto il ritiro immediato”. A coloro che da fuori osservano la scena, che quasi quotidianamente si ripete, rimane la sensazione che ogni proposta di legge squinternata sia anche il modo per tastare il polso della fattibilità, una sorta di test di marketing politico per capire a quanti metri dell’abisso sia finito l’elettorato. E chissà che prima o poi non ci sia più bisogno di smentire. L’elettorato sarà pronto, l’autocrazia finalmente splenderà.