Il no di Giorgia a Ursula presenta il conto. Addio vice presidenza Ue esecutiva e la partita sui conti pubblici in salita

Il no di Giorgia a Ursula presenta il conto. Addio vice presidenza Ue esecutiva e la partita sui conti pubblici in salita

Per la prima volta il partito maggior azionista del governo in carica in Italia, Fratelli d’Italia, nonché quello di appartenenza della premier Giorgia Meloni, ha votato contro il candidato alla presidenza della Commissione Ue. L’unico partito che sostiene la maggioranza Meloni che ha votato sì è stato Forza Italia (Ppe). Come FdI, ha votato no la Lega.

Ci si interroga sui motivi che hanno portato Meloni a votare contro Ursula von der Leyen. “Siamo rimasti coerenti con la posizione espressa nel Consiglio europeo di non condivisione del metodo e del merito”, dice Meloni in un video diffuso da Palazzo Chigi. “Questo ovviamente – sottolinea – non comprometterà la collaborazione che il governo italiano e la commissione europea hanno già dimostrato di saper portare avanti su molte materie come la migrazione”.

Motivazioni

Merito e metodo: le stesse motivazioni dunque, come ricorda la leader di FdI, che l’hanno spinta ad astenersi in sede di Consiglio Ue sulla presidente designata. Ma che affondano le radici nel vertice informale di metà giugno, quando i negoziatori dei Popolari, dei Socialisti e dei Liberali hanno gestito la partita sulle nomine Ue, tagliando fuori e trattando come una reietta Meloni e la famiglia europea dei Conservatori che fa sempre capo a lei. A ciò si aggiunga che la leader di FdI ha capito ieri che i 24 voti dei suoi nel pallottoliere di Strasburgo sarebbero stati irrilevanti dopo l’appoggio esplicito dei Verdi (53 eurodeputati).

Verdi che, ricordiamo, come i Socialisti e i Liberali hanno innalzato una sorta di cordone sanitario nei confronti dei meloniani, imponendo a von der Leyen di non trattare con loro. “L’ufficializzazione del voto favorevole dei Verdi ha reso impossibile il nostro sostegno”, ha detto il capodelegazione di FdI all’Eurocamera, Carlo Fidanza. È anche vero che Meloni aveva il problema della Lega.

Sebbene Matteo Salvini avesse garantito che il voto degli alleati su von der Leyen non avrebbe provocato conseguenze per il governo, gli uomini di via Bellerio continuavano a provocare i Fratelli d’Italia, chiedendo chi mai potesse avere il coraggio di votare per il bis della tedesca. “La mia ammirazione e i miei complimenti verso due persone, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che nonostante le pressioni e i ricatti non hanno ceduto e hanno mantenuto la schiena dritta”, ha dichiarato non a caso ieri il vice di Salvini, Andrea Crippa. Ma se ancora è tutta da decifrare la strategia meloniana del no a Ursula sono più facilmente intuibili le conseguenze. Il ministro Raffaele Fitto era in corso per una delega di peso. Come il Bilancio con il Pnrr.

Ma Meloni chiedeva anche una vicepresidenza esecutiva che von der Leyen non era disposta a concederle. E forse questo è uno dei motivi per cui Meloni le ha votato contro. Fatto sta che ora per Roma la strada è ancora più in salita. Tra le novità che ha in testa la presidente rieletta ci sono anche tre portafogli inediti: Alloggi, Sburocratizzazione e Mediterraneo. La sensazione a Strasburgo, soprattutto dopo il voto contrario di FdI, è che all’Italia possa toccare proprio una di queste tre deleghe. La vicepresidenza esecutiva pare sfumata e destinata alla Francia e a Thierry Breton, che potrebbe avere proprio la delega all’Industria e alla Competitività. Giuseppe Conte, leader del M5S, sulla partita europea fece una previsione. Meloni, disse, ha due possibilità: condannarsi all’incoerenza votando Ursula, al pari di Verdi e Socialisti, o all’irrilevanza, decidendo di tagliarsi fuori dalle decisioni comunitarie e di collocarsi all’opposizione in compagnia dei gruppi dell’estrema destra, a partire da quello capitanato dal suo amico Orban.

Ha deciso di essere irrilevante. E la cosa diventa delicata e sul piano dei conti pubblici e su altri capitoli aperti. Vedi la procedura d’infrazione che incombe sui balneari. L’Italia – già sotto procedura per deficit eccessivo – sarà chiamata a trattare a Bruxelles il suo percorso di aggiustamento dei conti pubblici con una traiettoria concordata con l’Ue che per ora resta confidenziale. Nell’analisi del think tank Bruegel, l’intervento in termini strutturali potrebbe valere lo 0,6% del Pil all’anno in sette anni (circa 12 miliardi di euro) oppure l’1,1% per un piano in quattro anni (22 miliardi). Tutte valutazioni determinanti per la Manovra da inviare in Europa. Ecco perché pare che tra i leghisti, il ministro Giancarlo Giorgetti fosse l’unico più aperturista sul bis di von der Leyen. Doveva finire la pacchia per l’Europa, e invece con Meloni finisce la pacchia per l’Italia.