Vance, scelto da Trump come candidato Vice Presidente, prima era un Dem, poi un Rep anti-trumpiano e adesso è alleato di The Donald. Ecco un altro carrierista privo di scrupoli.
Manlio Curti
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Gentile lettore, le idee di J.D. Vance possono piacere o meno, ma non si commetta l’errore di pensare che sia solo un arrivista o peggio uno stupido. La sua storia personale e politica ha una forte coerenza. Anzi, penso sia uno dei pochi intellettuali della politica americana, portatore di una visione. È dotato di oratoria e capacità letterarie. Il suo libro, tradotto in Italia col titolo Elegia americana, è un best seller mondiale. Racconta la sua giovinezza nel degrado, con un padre alcolizzato e una madre drogata. Sorretto da una nonna “di ferro”, Vance è riuscito, con borse di studio e lavorando nelle ore libere, a laurearsi nella prestigiosa Yale e diventare avvocato di successo. È sempre stato un ideologo di quella “America di bianchi poveri” tipica della Rust Belt, la cintura della ruggine: Ohio, Indiana, ecc. Un proto-Trump, insomma, e un conservatore classico. Riteneva The Donald un’anomalia, poi ha cambiato idea, giudicando il tycoon l’unico in grado di rappresentare quell’America povera. Nominarlo vice, dal punto di vista di Trump è stato un ottimo colpo. Per i Dem sarà difficile attaccarlo sulle politiche migratorie e sulla presunta propensione dei Rep per i ricchi, perché ha una moglie di colore immigrata dall’India e conosce a menadito la povertà. È anche un campione in ottica futura: Trump, se eletto, a fine mandato avrà 83 anni: allora Vance, oggi 40enne, gli subentrerà come delfino naturale.