Venezia come Genova; il sindaco Luigi Brugnaro come il governatore Giovanni Toti. Due inchieste quasi perfettamente sovrapponibili, con interi settori dell’amministrazione pubblica asserviti, per i magistrati, ai desideri e alle volontà dei due leader. I quali, quando scoppia il bubbone giudiziario, reagiscono allo stesso modo.
Toti e Brugnaro “vanno avanti”
Cioè “vanno avanti”, non sentendo il dovere morale di dimettersi e difendersi, dimostrando totale disprezzo dei loro cittadini e delle istituzioni. Toti “va avanti” (dai domiciliari) dal 7 maggio, paralizzando la Liguria. E anche Brugnaro “va avanti”, nonostante un avviso di garanzia che sembra solo il primo passo (“Le misure cautelari sono un punto che abbiamo voluto mettere sugli elementi concreti di cui disponevamo, ma le indagini sono in corso e ci saranno sicuramente sviluppi”, ha detto oggi il procuratore di Venezia, Bruno Cherchi, in Commissione Antimafia).
Brugnaro non molla la sedia
“Si va avanti” ha detto il sindaco di Venezia stamattina agli esponenti della maggioranza di centrodestra, convocati per un vertice a Mestre, il giorno dopo il blitz della Guardia di Finanza. All’incontro hanno preso parte gli assessori e i consiglieri comunali di Fi, Fdi, Lega, Lista Brugnaro che (ancora) lo sostengono.
Oggi pomeriggio era in programma un importante consiglio comunale, con all’ordine del giorno una serie di votazioni su delibere strategiche, tra le quali l’assestamento di bilancio, le politiche della sicurezza e il progetto di riqualificazione urbanistica dell’area dell’ex ospedale Umberto I, acquistata dall’imprenditore Gianni Canella (supermercati Alì) per 150 milioni di euro.
Brugnaro non c’era, stava studiando gli atti dell’inchiesta… Ma, come per la Liguria, ogni atto, alla luce dell’inchiesta, non può non essere sospetto o oggetto di contestazioni. Il motivo per il quale entrambi dovrebbero dimettersi.
Il messaggio del sindaco indagato
“Sarò io stesso a chiedere di inserire all’ordine del giorno la questione, in uno dei prossimi Consigli Comunali, per riferire a voi consiglieri e a tutta la città, non tanto sulle questioni giudiziarie, che a questo punto saranno affrontate nella sede loro propria, quanto sulle questioni di natura politica ed amministrativa collegate ed inerenti all’indagine stessa”, ha scritto Brugnaro in un messaggio.
“Non oggi – aggiunge – perché non ho alcuna intenzione di trasformare l’aula in un campo di battaglia”, ha aggiunto. “Come ho già anticipato ieri (martedì, ndr) – prosegue – in cuor mio ed in coscienza so di aver sempre svolto e di continuare a svolgere l’incarico di Sindaco come un servizio alla comunità, gratuitamente, anteponendo sempre gli interessi pubblici, in trasparenza e in totale onestà. Ieri ho ricevuto un avviso di garanzia e, ovviamente, ho già dichiarato di essere e restare a disposizione della magistratura per chiarire tutte le questioni poste”.
La richiesta di inserire l’argomento dell’indagine in una prossima seduta, per il sindaco non potrà avvenire “senza aver analizzato nei dettagli tutta la situazione, per poter poi intervenire a ragion veduta”.
S’indaga sull’affare dei Pili
Intanto però i filoni investigativi, per i pm, si fanno sempre più “caldi”, non tanto quelli sull’assessore Renato Boraso (arrestato), accusato di una serie quasi infinita di operazioni illegali, quando proprio quelli che riguardano Brugnaro, principalmente per l’area dei Pili, la proprietà del sindaco affidata da quest’ultimo a un blind trust.
Terreno divenuto edificabile (grazie alla maggioranza Brugnaro) che l’imprenditore di Singapore Ching Chiat Kwong voleva acquistare. Affare che per i pm, Brugnaro ha trattato direttamente, nonostante il trust…
Vanin, il grande accusatore del sindaco
A innescare le indagini su I Pili, l’esposto del 2021 dell’imprenditore Claudio Vanin, il grande accusatore di Brugnaro. “Non sono stato estromesso dall’affare per la vendita dell’area dei Pili, sono io che dopo quell’incontro tra Brugnaro e il magnate Ching Chiat Kwong, ne sono uscito. Troppe cose non chiare. Da allora sono diventato la pecora nera, ho ricevuto raffiche di denunce, minacce, queste in particolare dall’intermediario di Kwong, Louis Lotti (indagato, ndr)”, ha messo a verbale Vanin.
Il suo racconto parte dal 2018, dal giorno in cui lui, Kwong, Brugnaro, Lotti e il capo di gabinetto del sindaco, Morris Cerron, si ritrovano a casa del sindaco per discutere della vendita dei Pili, al fine di una futura lottizzazione. “In quel momento – afferma – la vendita dei Pili veniva valutata 150 milioni di euro, tenendo conto che la commercializzazione del progetto immobiliare avrebbe fruttato 1 miliardo e 800 milioni”.
Durante l’inizio della trattativa, sostiene Vanin, “Brugnaro avrebbe chiesto a Kwong un anticipo a perdere di 10 milioni, come garanzia dell’operazione, che si fosse concretizzata o meno”. “Una richiesta mai avanzata e ingiustificata”, sottolinea Vanin, che fece saltare la riunione.
I palazzi pubblici ceduti sotto prezzo
In quella fase, peraltro – ricorda sempre l’imprenditore – Kwong aveva già investito a Venezia, acquistando nel 2016 due proprietà del Comune: palazzo Donà, per 6,2 milioni, e Palazzo Papadopoli, per oltre 10 milioni, un prezzo ribassato rispetto al reale valore di mercato”. Il riferimento è a Palazzo Papadopoli, valutato 14 milioni nel 2009 e ceduto dal Comune (amministrato da Brugnaro) a Kwong nel 2016 a soli 10.729.606 euro, grazie anche a una tangente pagata da Kwong a Boraso di 73.200 euro.