Se Matteo Salvini, vicepremier e leader della Lega, alza la voce con Giorgia Meloni, invocando prudenza sull’invio di armi a Kiev in nome della pace e in un’ottica di competizione politica, nel suo obiettivo costante di essere una spina nel fianco della premier, c’è qualcun altro che – come scrive Repubblica – nel Carroccio invita alla cautela sulle spese militari. Si tratta del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.
La prudenza di Giorgetti nasce da ragioni più prosaiche e sicuramente più pragmatiche e realistiche di quelle del suo leader. Vale a dire lo stato dei conti pubblici del Paese.
Le rassicurazioni di Meloni alla Nato sulle armi
Meloni ha rassicurato gli alleati al recente summit Nato di Washington sul raggiungimento del 2% del Pil per le spese militari e sull’impegno per la quota del nostro Paese nel fondo da circa 40 miliardi annunciato dall’Alleanza per Kiev.
Ebbene il 2% e la quota al fondo da 40 miliardi sono due esborsi economici che per l’Italia equivarrebbero rispettivamente a oltre 10 miliardi di euro e 1,7 miliardi di euro. Una cifra considerevole, considerando lo stato dei conti pubblici italiani, praticamente equivalente al costo di una misura come il taglio del cuneo fiscale.
Per arrivare al traguardo del 2% del Pil (pari oggi a poco più di 40 miliardi di euro), il governo Meloni, come preannunciato dal ministro della Difesa Guido Crosetto a Washington, intende chiedere alla prossima Commissione Ue di scorporare gli investimenti militari dal nuovo Patto di stabilità licenziato dall’Europa, che li considera come “fattore rilevante” ai fini delle procedure per deficit eccessivo.
In tal modo già nel giro di un anno si potrebbe passare dall’1,46% del 2023 (in valore assoluto circa 29 miliardi) all’1,6%, per incrementare poi la percentuale sino al 2%. Un impegno, ha assicurato la premier, cui l’Italia “terrà fede’. Ma “con i tempi e le possibilità che abbiamo”.
Giorgetti tira il freno a mano sulle spese militari
Ed è proprio sui tempi e le possibilità che ora frena Giorgetti, impegnato ieri all’Eurogruppo. Il ministro è atteso in autunno a una partita cruciale, quando l’Italia sarà chiamata a presentare – in compagnia di Francia, Belgio, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia finite tutte sotto procedura per deficit eccessivo – il suo percorso di aggiustamento dei conti pubblici con una traiettoria concordata con l’Ue che per ora resta confidenziale.
Nell’analisi del think tank Bruegel, l’intervento in termini strutturali potrebbe valere lo 0,6% del Pil all’anno in sette anni (circa 12 miliardi di euro) oppure l’1,1% per un piano in quattro anni (22 miliardi). A ciò si aggiunga la zavorra del debito pubblico. Ieri è arrivata la doccia gelata di Bankitalia. Lo scorso maggio il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 13,3 miliardi rispetto al mese precedente, risultando pari a 2.918,9 miliardi, vicino alla soglia dei 3.000 miliardi.
In cinque mesi un incremento di 70,2 miliardi, che, spalmato sulla popolazione italiana, equivale a ben 2.720 euro in più a famiglia da inizio anno, circa 1.190 euro in più a cittadino residente, calcola il Codacons.
E se l’Italia spera che l’Europa possa aprire all’idea di finanziare progetti di spicco con nuovo debito comune – tema all’ordine del giorno dell’Eurogruppo – deve fare i conti con paesi come la Germania.
“Gli Stati devono continuare ad assumersi la responsabilità delle proprie finanze pubbliche. La mutualizzazione dei rischi, la mutualizzazione delle responsabilità e del debito non contribuisce alla stabilità e quindi non sarà sostenuta dalla Germania”, ha detto il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner. La strada per Giorgetti si fa sempre più stretta.