Carlo Nordio, ministro della Giustizia, è caduto in una trappola pericolosa: quella di piegare i numeri alla narrazione politica. Di recente, durante un’intervista a 24 Mattino su Radio 24, Nordio ha dipinto un quadro fosco del sovraffollamento carcerario, affermando che “Il 30 per cento dei detenuti è in carcere in attesa di giudizio, e statisticamente almeno la metà poi viene assolta”. Una dichiarazione allarmante, peccato che, come ricostruisce il Fact Checking di Pagella Politica, i dati del ministero della Giustizia raccontino una storia diversa.
Al 30 giugno 2024, i detenuti negli istituti penitenziari italiani erano 61.480. Di questi, il 15 per cento (9.213) era in attesa del primo giudizio, “una percentuale più bassa di quella indicata da Nordio”, rileva Pagella Politica. Se includiamo anche quelli condannati ma non in via definitiva, arriviamo al 25 per cento. Una percentuale più vicina ma sempre al di sotto del 30 per cento indicato dal ministro. Ma sul concetto di “metà assolti” il discorso si fa ancor più interessante.
La verità dietro le cifre di Nordio: cosa dicono davvero i dati
Nordio afferma che metà di questi detenuti in attesa di giudizio poi viene assolta. In realtà, i dati del ministero della Giustizia, presentati in Parlamento, mostrano che nel 2023 solo il 5,7 per cento delle custodie cautelari in carcere si è concluso con una sentenza di assoluzione.
“Questa percentuale contiene sia le assoluzioni definitive sia quelle non definitive, che quindi poi possono essersi trasformate in una condanna”, specifica peraltro Pagella Politica. A questo si aggiunge un 3,8 per cento di sentenze di proscioglimento a vario titolo. La matematica è semplice: “abbiamo che in circa il 90 per cento dei casi il procedimento termina con la condanna”, ha scritto il Ministero della Giustizia. Difficile immaginare di stirare i numeri fino al 50%.
Il ministro, quindi, ha esagerato, forse per giustificare le sue riforme. È un gioco pericoloso perché la realtà dei numeri non può essere piegata a piacimento senza rischiare di minare la fiducia nelle istituzioni. È un gioco pericoloso anche perché dimostra l’uso di una distorta narrazione per avvalorare le proprie tesi: la stessa accusa che il governo – nemmeno troppo sotto traccia – muove alla magistratura. Inoltre, è importante ricordare che la custodia cautelare è una misura che il giudice può disporre in presenza di gravi indizi di colpevolezza e quando vi sia il pericolo di fuga, inquinamento delle prove, o reiterazione del reato. Non è una scelta arbitraria ma una necessità legale.
Custodia cautelare: tra legalità e distorsioni politiche
L’articolo 27 della Costituzione italiana è chiaro: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Il sistema giudiziario, pur con le sue imperfezioni, opera quindi all’interno di un quadro costituzionale ben definito. Si potrebbe dire che la rappresentazione fornita da Nordio sul sovraffollamento carcerario e sulle custodie cautelari è fuorviante.
La realtà è che il sistema giudiziario italiano, pur necessitando di riforme, non è quel mostro inefficiente che il ministro vorrebbe dipingere. Le parole di Nordio sembrano più uno strumento politico che un’analisi accurata della situazione. Un esercizio pericoloso, soprattutto quando si parla di giustizia. La fiducia nelle istituzioni si costruisce anche attraverso la trasparenza e l’aderenza ai fatti, non adattando i numeri a una narrazione conveniente.
Il senso della giustizia non è materia sacrificabile sull’altare della politica. Fossimo in un processo la frase del ministro cadrebbe alla prima obiezione della controparte.