Il Governo festeggia i dati sulla produzione industriale di maggio, mentre voi fornite una lettura opposta. Pietro Lorefice, senatore M5S e segretario della presidenza di Palazzo Madama, ci spiega come stanno le cose?
“Come sempre accade, il Governo e i rappresentanti del centrodestra si producono in agghiaccianti operazioni di deformazione dei dati. Purtroppo per la Meloni, e i due ministri economici Giorgetti e Urso, l’Istat ha certificato sì che a maggio c’è stato un piccolo aumento della produzione industriale rispetto ad aprile, ma ha soprattutto rilevato che siamo arrivati al 16esimo mese consecutivo di calo della produzione industriale su base annua, ovvero confrontando il mese di un anno con lo stesso mese dell’anno precedente. E’ questo il dato che conta, e che cattura un quadro a dir poco preoccupante della nostra industria. Ci si aggrappa a un piccolo aumento mese su mese per coprire un’autentica debacle. Attenzione, perché adesso emergono anche le singole proteste di alcuni settori industriali, per esempio le macchine utensili, a dimostrazione che questo crollo inarrestabile si sta propagando a tutti i settori”.
Com’è possibile essere arrivati a 16 mesi consecutivi di calo della nostra industria?
“Guardi, purtroppo non servivano chissà quali doti divinatorie per capire che saremmo arrivati a questo punto. Il crollo rilevato dall’Istat scaturisce da un nesso di causa-effetto molto chiaro, che solo il trio delle meraviglie Meloni-Giorgetti-Urso ha potuto non considerare. Tra le cause, per esempio, c’è la folle cancellazione di Transizione 4.0, piano di sostegno agli investimenti delle imprese che era stato lanciato dal Governo Conte II con un contributo indiscutibile al boom della crescita nel biennio 2021-2022. Arrivata a palazzo Chigi, la Meloni ha fortemente ridimensionato i crediti d’imposta di quel Piano, di fatto senza prevedere misure alternative. Questo ha immediatamente compresso gli investimenti delle imprese in innovazione, risparmio energetico, formazione. Poi l’esecutivo ha provato disperatamente a recuperare il Piano, ribattezzandolo Transizione 5.0, che però oggi non ha ancora visto la luce. Infine, nella bozza di decreto attuativo di questo nuovo Piano, è stata prevista la bellezza di 8 passaggi burocratici tra autorizzazioni, asseverazioni e perizie, preventive e successive, che di fatto creano per il settore industriale un percorso a ostacoli. O, peggio, un paralizzante labirinto. Quante imprese riusciranno effettivamente a usufruire dei crediti d’imposta? E meno male che questo era il Governo del ‘non disturbare chi vuole fare’”.
Che effetti sta avendo tutto questo?
“Pensiamo soltanto all’esplosione delle ore di cassa integrazione. A maggio 2024 abbiamo avuto 47,2 milioni di ore, +24% rispetto ad aprile e + 36,7% rispetto a maggio di un anno fa. Poi ascoltiamo il Governo commentare trionfalisticamente l’aumento dell’occupazione. Peccato che l’occupazione per prima cosa sia in aumento da inizio 2021, non certo per merito della Meloni; in secondo luogo dobbiamo sempre ricordare che i cassintegrati fino a tre mesi sono conteggiati tra gli occupati; in terza battuta gli occupati aumentano anche perché il Governo ha costretto moltissimi lavoratori e restare nel mondo del lavoro, dopo l’abolizione o il forte ridimensionamento di praticamente tutti i canali di pensionamento anticipato. L’effetto finale, in ogni caso, è già visibile sul crollo del ritmo di crescita. Il Governo Meloni ha chiuso il 2023 con uno striminzito +0,9%, mentre per il 2024 la Banca d’Italia qualche giorno fa non è andata oltre una previsione di +0,7%. Ma dove va l’Italia con questi numeri?”
Come si esce da questa situazione?
“Si esce solo se si ha un’idea di politica industriale. Noi, con il Piano Transizione 4.0, abbiamo dimostrato di averla. Così come abbiamo dimostrato di averla con tutti quei capitoli del Pnrr dedicati allo sviluppo industriale, in un periodo in cui peraltro il partito della Meloni non ha mai votato a favore del Pnrr stesso. Il dato drammatico è che qui non c’è uno straccio di politica industriale, l’unica cosa che i ministri Giorgetti e Urso sono stati in grado di fare è inaugurare una nuova stagione di privatizzazioni e cessioni di Stato: la rete di telecomunicazioni ceduta al fondo americano Kkr; Ita ceduta ai tedeschi di Lufthansa; Poste messa sul mercato per una quota fino al 49%; operazioni in corso su Ferrovie. Sono gli stessi che prima dai banchi dell’opposizione, poi in campagna elettorale, si definivano alfieri del sovranismo e del patriottismo economico. Che fine penosa hanno fatto quelle promesse elettorali”.