Generali comprati a suon di contanti e borse di Louis Vuitton; faccendieri che “oliavano” imprenditori, vantando conoscenze nei servizi; imprenditori che miravano a fare affari con il Vaticano che pagavano segretari di cardinali; dirigenti del Ministero dei Trasporti che truccavano gli appalti. C’è un po’ di tutto nell’inchiesta della Procura di Milano su presunti appalti truccati, corruzione e traffico di influenze illecite che ieri ha portato agli arresti (ai domiciliari) del generale dei carabinieri Oreste Liporace, comandante del secondo reggimento allievi, marescialli, brigadieri a Velletri. Per lui l’accusa è corruzione, turbativa e false fatture su un appalto da 700mila euro per servizi di pulizia della caserma affidato fino al 2021 all’impresa Fabbro.
È finito ai domiciliari iI generale dei carabinieri Oreste Liporace, comandante del secondo reggimento allievi, marescialli, brigadieri a Velletri
Per il gip, sarebbe stato corrotto con 22mila euro, borse di lusso, noleggi auto, biglietti per lo stadio Olimpico e per la Scala di Milano. Ai domiciliari anche Ennio De Vellis, imprenditore assai noto perché detiene numerosi appalti per i traslochi nelle sedi delle forze dell’ordine e agli imprenditori delal ristorazione Massimiliano e William Fabbro, indagati. Con loro indagato anche Lorenzo Quinzi, da gennaio capo del dipartimento per gli affari generali del ministero delle Infrastrutture. Sempre ieri gli uomini della Gdf hanno perquisito 22 persone e gli uffici di Avvocatura dello Stato, del ministero delle Infrastrutture, Centro Alti Studi Difesa, Provveditorato alle Opere Pubbliche per il Lazio, Abruzzo e Sardegna.
L’inchiesta del pm Paolo Storari nasce da quella per corruzione che aveva portato all’arresto di Massimo Hallecker, dipendente di Fiera spa, che aveva già coinvolto i Fabbro.
I Fabbro puntavano al Vaticano
Gli inquirenti hanno poi scoperto un presunto traffico di influenze illecite in relazione alla “promessa”, non “concretizzata”, di “far ottenere” alle società del gruppo Fabbro nel 2022 “appalti all’interno del Vaticano”, ma anche uno gestito dai Frati Francescani. E “un appalto triennale” nel 2020 da 15 milioni di euro “per il servizio di ristorazione presso alcune sedi della presidenza del Consiglio dei Ministri”, “effettivamente ottenuto” dalle società dei Fabbro.
Nell’ordinanza si legge che l’indagato A.G. si sarebbe fatto “consegnare” dai Fabbro oltre 200mila euro come “prezzo della propria mediazione illecita verso G.E., segretario del Cardinale Francesco Coccopalmerio, e verso Padre Alfonso De Ruvo”. Una mediazione “necessaria”, si legge nell’ordinanza, per la “promessa di far ottenere”, attraverso le “relazioni” che A.G. aveva, alle “società del Gruppo Fabbro appalti all’interno del Vaticano e un appalto gestito dall’Ordine dei Frati Francescani dell’Atonement, promessa di fatto non concretizzatasi”.
La stecca per entrare nel business delle forze dell’ordine
In un altro capitolo dell’inchiesta, i Fabbro sono indagati, sempre per traffico di influenze illecite, con l’imprenditore De Vellis. Quest’ultimo, si legge, “sfruttando o vantando una relazione esistente o asserita con un pubblico ufficiale allo stato non identificato ma appartenente al Dis (Dipartimento informazioni e sicurezza), si faceva consegnare indebitamente” dai due quasi 165mila euro, attraverso un sistema di false fatture.
Una “mediazione”, si legge negli atti, affinché le società dei Fabbro “fossero invitate a presentare offerte per aggiudicarsi commesse indette dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri”. E queste società “sono state effettivamente invitate” e in un caso avrebbero “ottenuto un appalto triennale” nel 2020 da oltre 15 milioni per il “servizio ristorazione” presso sedi “della Presidenza del Consiglio”.
Tutti gli appalti a De Vellis
Per gli inquirenti, infine, esisterebbe “un meccanismo” in base al quale l’imprenditore De Vellis “si accaparra le commesse” del Mit. Sarebbe stato Quinzi, indagato e dirigente del ministero, ad “esternare” con le sue parole intercettate la “esistenza” di questo meccanismo. In un’intercettazione del gennaio scorso diceva: “Su quella ditta, gli abbiamo già dato un sacco di roba! No? C’abbiamo la somma urgenza di là, la somma urgenza di qua (…) il capo è sempre uno! Allora se poi lui fa storie (…) la firmo io, non ti preoccupare”. Il riferimento era agli “atti di determina”, si legge nelle carte, su servizi “di facchinaggio e ‘bandiere'”. Dalle intercettazioni emerge, tra l’altro, che Quinzi si sarebbe rapportato anche con una serie di altri funzionari e dirigenti del Ministero, i cui nomi sono citati nell’ordinanza.