Un richiamo, quello di Sergio Mattarella, a non trasformare il diritto della maggioranza a governare in un assolutismo della maggioranza, che fa correre il pensiero alle riforme, senza citarle, cui sta mettendo mano il governo di centro-destra, dal premierato all’Autonomia differenziata. Bisogna rimanere coscienti dei propri limiti nell’esercizio del potere: il “dovere di governare” non può mai significare una restrizione dei diritti da parte della maggioranza nei confronti della minoranza, dice il presidente della Repubblica che ieri ha fornito la sua visione repubblicana al proprio mondo di provenienza, quello cattolico, riunito a Trieste per la settimana sociale. Un discorso ricco di citazioni che suonano come richiami a governo Meloni.
A scuola di democrazia. Lezione di Mattarella a Meloni. Richiamo al governo sui limiti del potere
“La democrazia non si esaurisce nelle sue norme di funzionamento, ferma restando l’imprescindibilità della definizione e del rispetto delle ‘regole del gioco’. Perché – come ricordava Norberto Bobbio – le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità e uguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine e non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che possano diventare, a loro volta, maggioranze”, dice Mattarella. “Ci soccorre Bobbio quando ammonisce che non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o a restrizioni di diritti ‘in nome del dovere di governare’. Una democrazia ‘della maggioranza’ sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà”.
Il capo dello Stato parla di Costituzione, di “quell’alito della libertà” che si respirava nel primo dopoguerra e che fu il propulsore di una Carta “a intelaiatura e garanzia dei diritti dei cittadini”. E ancora: “l’esercizio della democrazia non si riduce a un semplice aspetto procedurale e non si consuma neppure soltanto con la irrinunziabile espressione del proprio suffragio nelle urne nelle occasioni elettorali. Presuppone lo sforzo di elaborare una visione del bene comune in cui sapientemente si intreccino – perché tra loro inscindibili – libertà individuali e aperture sociali, bene della libertà e bene dell’umanità condivisa”. Per questo bisogna battersi sempre, e forse oggi ancor di più, contro “l’analfabetismo di democrazia”, perché “democrazia è esercizio dal basso, perché democrazia è camminare insieme”.
Tante ed evidenti le preoccupazioni del presidente per un vento d’involuzione che soffia sull’Europa e attraversa l’Atlantico. Si moltiplicano nel pianeta “democrazie affievolite e depotenziate da tratti illiberali”, dove le maggioranze si sentono sciolte da vincoli e sacri patti: la Costituzione – puntualizza Mattarella – ricorda che il bene comune non è il bene pubblico dell’interesse della maggioranza, “ma il bene di tutti e di ciascuno al tempo stesso”. Il pensiero corre alle riforme meloniane: “Tosato contestò l’assunto di Rousseau, in base al quale la volontà generale non poteva trovare limiti di alcun genere nelle leggi, perché la volontà popolare poteva cambiare qualunque norma o regola. Lo fece con parole molto nette: ‘Noi sappiamo tutti ormai che la presunta volontà generale non è in realtà che la volontà di una maggioranza e che la volontà di una maggioranza, che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo può essere, come spesso si è dimostrata, più ingiusta e più oppressiva che non la volontà di un principe’. Un fermo no, quindi, all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice. La coscienza dei limiti, a partire dalla presidenza della Repubblica, è un fattore imprescindibile di leale e irrinunziabile vitalità democratica”.