“L’economia italiana sta crescendo più di altre nazioni europee”, ha detto la premier Giorgia Meloni, precisando che “i dati macroeconomici nazionali sono positivi e l’andamento di alcuni indicatori rappresenta importanti segnali di fiducia nel futuro della nostra economia”. Stefano Fassina, economista, oggi presidente dell’associazione Patria e Costituzione, è vero? va tutto a gonfie vele?
“L’economia italiana è cresciuta più che altre economie europee grazie agli investimenti privati in edilizia, sostenuti dal super-bonus e dall’allentamento del deficit dal 2020 fino allo scorso anno. È stata una dinamica nutrita da fattori congiunturali. I nodi di fondo, a cominciare dalla nostra specializzazione produttiva e dal nostro più stringente vincolo di finanza pubblica, rimangono tutti. Segnalo alla presidente del Consiglio un dato, estraibile dal comunicato Istat del 26 giugno scorso relativo alla stima preliminare del Pil 2023: a fronte di un aumento del Pil di 0,9 punti percentuali, l’occupazione è salita dell’1,8%. Vuol dire che la produttività media è diminuita di circa l’1%. In altri termini, come abbiamo già rilevato sul vostro giornale, la nostra occupazione è prevalentemente povera, precaria, part-time, generata da attività del terziario a basso valore aggiunto”.
La Commissione Ue ha aperto la procedura per deficit eccessivo su Italia e altri sei Paesi. Con il Patto di stabilità, rivisto e ora di nuovo in vigore, segna il fischio di inizio di un nuovo ciclo di austerità per noi?
“Qui, il problema non è l’Italia, ma le regole di finanza pubblica. Le modifiche al Patto di Stabilità sono state sostanzialmente irrilevanti. Completamente fuori fase storica. Si è rimosso che il debito pubblico è aumentato, quasi ovunque, a causa della pandemia e della guerra in Ucraina. Il Governo Meloni avrebbe dovuto almeno tentare di spostare la discussione sui fattori di eccezionalità dietro l’impennata dei debiti da affrontare con misure eccezionali, come la trasformazione in Titoli permanenti del debito comprato dalle banche centrali dell’Euro-sistema. Il rischio di austerità dipende dalla Bce. Margini per evitarlo vi sono se il governo smette di incentivare l’evasione fiscale attraverso condoni fiscali trimestrali”.
“Perché l’Autonomia differenziata fa male anche al Nord”, si intitola il suo ultimo libro edito da Castelvecchi. Ci spiega meglio?
“Nel libro motivo 5 ragioni. Ricorro alle valutazioni della Banca d’Italia, dell’Ufficio parlamentare di bilancio, della Confindustria, dell’artigianato, dei sindacati, dell’Anci. Qui, ne cito due. La prima ha a che fare con il principio cardine del federalismo: la responsabilità politica del prelievo delle tasse, ossia delle risorse da spendere, in capo ai governi territoriali. In conseguenza della legge Calderoli, la Regione differenziata non ha alcuna responsabilità. Le entrate acquisite attraverso l’Autonomia differenziata derivano interamente da compartecipazioni al gettito di tributi erariali maturati sul “suo” territorio. In sostanza, la Regione si prende, a seconda di quanto definito nell’Intesa negoziata con il governo centrale, una quota di Irpef, di Ires, di Iva a prescindere dall’efficienza nell’utilizzo. Anzi, poiché le basi imponibili delle principali imposte erariali compartecipate da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna crescono più della spesa corrente da finanziare, come evidenzia l’Ufficio parlamentare di bilancio, gli incentivi piegano verso l’inefficienza e gli sprechi. La seconda ragione è meno tecnica e più politica. Anche il Nord subirà gli effetti del declassamento politico dell’Italia. Quale peso politico può avere a Bruxelles, nelle relazioni internazionali bilaterali e multilaterali un Presidente del Consiglio senza il controllo legislativo sulle principali materie economiche, sociali, infrastrutturali? Ad esempio, con quale affidabilità il presidente Conte nel 2020 avrebbe potuto negoziare un PNRR dedicato quasi tutto a investimenti e riforme di esclusiva competenza regionale? Vero: Germania, Spagna, Austria, ecc. sono Stati federali e negoziano autorevolmente. Attenzione però: noi saremmo, come per il ‘premierato’, un unicum nel globo terraqueo, poiché tutti gli Stati federali hanno una Camera delle autonomie territoriali per raccordare i livelli di governo sussidiari e dare flessibilità ai poteri legislativi regionali. Noi, invece, avremmo 21 Intese rigide, soggette al veto del Presidente della Regione per le modifiche”.
La riforma del Titolo V è il vero peccato originale alla base dell’Autonomia differenziata?
“Sì. Nel 2001, un intervento sulle competenze delle Regioni era necessario. Vi era anche una forte pressione politica separatista da parte di un pezzo di rappresentanza politica del Nord. Tuttavia, è prevalsa la strumentalità politicista, assolutamente inutile in termini di consenso elettorale. I legislatori del centro-sinistra hanno aperto nella Costituzione spazi per stravolgerla. Il difetto principale della Legge Calderoli è che non fissa alcun limite per attribuire alle Regioni forme e condizioni particolari di autonomia. L’Italia rischia di ritornare ad essere ‘espressione geografica’ in un tornante storico dove riemerge il protagonismo degli Stati nazionali”.
Il governatore della Regione Veneto Luca Zaia ha inoltrato richiesta di Autonomia per le materie non Lep. Ora il ministro Musumeci dice che la stessa richiesta gli sembra “precoce”.
“Luca Zaia fa politica. È coerente. È FdI che ha svenduto la sua anima patriottica e l’interesse nazionale per arrivare al cosiddetto premierato. Dov’era il governo quando le opposizioni in Parlamento tentavano di far approvare emendamenti per evitare le iniziative precoci e per delimitare a oggettive specificità territoriali l’attribuzione di competenze legislative esclusive alle Regioni?”
Ricorso alla Consulta, referendum abrogativo. Quale la strada giusta per bloccare la riforma?
“Dobbiamo tentare tutte le strade. Ma dobbiamo, innanzitutto, smettere di interpretare o lasciar raccontare le iniziative per fermare l’interpretazione estrema dell’Autonomia differenziata come ‘guerra civile’ di sudisti contro nordisti. L’Autonomia differenziata è anche questione settentrionale”.