Riccardo Alcaro, direttore delle Ricerche dell’Istituto Affari Internazionali, dal primo confronto con Trump è davvero emerso un quadro così critico per Biden?
“Sì, senz’altro. Il dibattito è stato un disastro senza appello. Perché Biden aveva una missione: in un dibattito si scontrano candidati con punti più o meno forti, un’agenda popolare o meno, e quindi tendenzialmente si sa a cosa si va incontro e infatti raramente fanno la differenza. Quello dell’altra notte aveva l’obiettivo di rassicurare l’elettorato, soprattutto per Biden, sulla sua capacità fisica e mentale. Biden ha fallito il test clamorosamente, ben al di sotto delle aspettative che già erano basse. È un momento di svolta”.
L’unica soluzione è cambiare candidato in corsa? O ormai è troppo tardi?
“Non è troppo tardi, è tardi ma non troppo. Ma ci sono tre ordini di ostacoli: il primo è il tempo, le elezioni sono fra 4 mesi quindi si può fare. Il secondo è la legittimità che Biden ha ricevuto con le primarie. Come scegliere un altro candidato? Ci sono due opzioni: una convention aperta, perché la candidatura di Biden deve essere ancora formalizzata. La convention in anni recenti è stata un’occasione di incoronazione e non di scelta come prima, ma potrebbe tornare alla sua funzione originaria. Ma la convention aperta diventa uno scontro di partito, in cui l’elettorato resta fuori e, in secondo luogo, mette in luce le divisioni interno e il partito democratico non è coeso, è una grande coalizione, dai centristi moderati ai progressisti. L’altra soluzione è una convention pilotata, scegliere un candidato a monte che poi viene incoronato, con il rischio di mancanza di legittimità. Poi il terzo ordine di problema, il più grande: Biden stesso. Finora ha sempre rifiutato di ritirarsi perché alla prova dei fatti è stato il candidato migliore. Nel 2020 non solo ha vinto contro Trump con più voti di chiunque altro nella storia, ma anche con più voti del partito democratico. Nel 2022 si preannunciava un disastro alle mid-term e invece i risultati sono stati tra i migliori degli anni recenti per chi esprimeva il presidente in carica. Ora Biden dovrà prendere una decisione, credo che farebbe bene a ritirarsi e la storia sarebbe molto più gentile dei giornalisti oggi perché la sua presidenza è stata più che competente con l’eccezione di Gaza su cui è disastroso o quasi. Ma se non si ritira le sue chance di vittoria sono ridotte dopo il confronto, perché la principale debolezza era l’età e ora per lui è impossibile controbattere”.
Alla fine si ritirerà?
“Non lo so, secondo me non lo sa nessuno, nemmeno lui. Credo che lo deciderà con la sua famiglia e la moglie Jim. La grande domanda è che succede se lui si ritira e qui tornano i problemi che abbiamo detto prima. Per la questione di legittimità c’è una sola risposta valida ed è Kamala Harris, che non è molto popolare e non scompaginerebbe la campagna elettorale così tanto perché tutti gli attacchi preparati da Trump su immigrazione, inflazione e crimine verrebbero reindirizzati. Harris politicamente non è granché, non è una grande oratrice, ma chiaramente ha una intelligenza superiore, una grandissima capacità analitica, ma non ha il calibro di una grande politica. Non riesco a vedere altre soluzioni. Tutti gli scettici e gli spaventati e i perplessi da Trump potrebbero vedere in Harris una mano ferma”.
La candidatura di Michelle Obama è esclusa? Solo chiacchiere per giornalisti?
“Michelle Obama non ha mai espresso pubblicamente l’intenzione di entrare in politica, ha sempre detto il contrario. Ha un’altissima popolarità, ma una cosa è la popolarità di un personaggio pubblico e un’altra è quella quando scende in politica. E non ha nessuna esperienza esecutiva, perché dovrei credere che sarebbe una buona candidata presidenziale? Certo, se Biden si ritirasse e si facesse una convention aperta tutti i giochi sarebbero aperti e potrebbe partire con un vantaggio di riconoscibilità nazionale totale, una delle cose che aiuta più Trump. Ma per adesso stiamo parlando del nulla”.
La partita per i democratici è già persa?
“No, assolutamente. Soprattutto quando hai davanti uno come Trump, un candidato molto vulnerabile. Trump dice le cose con un vigore e un apparente controllo che trasmette l’idea che ha energia ed è mentalmente capace, ma se si ascolta ciò che dice spesso è una sequela di cose senza senso, nove parole su dieci sono bugie o affermazioni fuorvianti, è pieno di scandali, è vecchio, con una visione orribile del mondo. È un candidato forte a destra, ma non a livello nazionale. Sono così diminuite le chance di vittoria di Biden che farebbe un favore a se stesso, al partito e alla storia a fare un passo che avrebbe dovuto fare dopo le elezioni di metà mandato annunciando di non ricandidarsi per l’età e lasciando il campo. E se lo avesse fatto sarebbe un presidente molto più popolare”.