Col secondo turno delle Comunali il centrosinistra si è complessivamente imposto in 17 capoluoghi su 29 e in tutti e sei quelli di Regione. Gianni Cuperlo, deputato del Partito democratico, dalle urne è arrivato un messaggio chiaro? esiste un’alternativa possibile a questa destra?
“Il messaggio è molto chiaro, il risultato è tennistico se guardiamo ai capoluoghi di Regione: 6 a zero. Un dato evidente nel suo segnale. Noi recuperiamo consenso nelle grandi città e questo avviene, peraltro – cosa che mi sembra molto significativa – nei quartieri più popolari, mentre il voto a destra si concentra in maniera più marcata nei quartieri della cosiddetta Ztl. Viene ribaltata così quella che era la lettura degli ultimi dieci anni. Questo lo considero un fatto molto importante perché è il frutto di una campagna elettorale condotta su un terreno che è stato prevalentemente quello dei bisogni sociali delle persone e delle famiglie. Avere costruito nell’ultimo anno una campagna costante di informazione, di conoscenza, di consenso, sui temi del salario minimo, della difesa della sanità pubblica e contro l’Autonomia differenziata, che spacca questo Paese e penalizza le regioni del Sud ma anche quelle del Nord, ha dato i suoi frutti. Questo voto di fatto premia la politica e le scelte che sono state fatte, con un merito particolare che va riconosciuto alla nostra segretaria (Elly Schlein, ndr)”.
Nei sei capoluoghi di Regione al secondo turno soprattutto si sono ricompattate le forze progressiste: uniti si vince?
“Direi proprio di sì. Chi non vuole vedere questo, cammina con gli occhi bendati. Dove noi abbiamo costruito – lasciamo stare adesso la definizione di campi larghi, stretti, alti, bassi, che non portano bene – alleanze larghe, coinvolgenti forze diverse e anche civiche ma anche forze che oggi nel Parlamento sono all’opposizione di questa destra, il risultato ci ha premiati. Anche perché poi esiste un buon senso del popolo che riconosce il merito delle candidature a livello locale. Il risultato come quello di Firenze con Sara Funaro, di Bari con Vito Leccese o di Perugia con Vittoria Ferdinandi sono esattamente il frutto di candidature radicate in quei territori che hanno garantito anche una sorta di orgoglio di quelle comunità. Penso soprattutto al risultato di Bari che la destra aveva descritto nei mesi precedenti come una specie di Gotham city, una città prigioniera della criminalità, e che invece al 70% ha premiato il più stretto collaboratore del sindaco Decaro, dando in questo modo un segnale forte di orgoglio, il rifiuto di essere descritti per come quella città e quella comunità non si sente e non si vive. Adesso bisogna lavorare perché questa capacità di allearsi e di aggregarsi sia la base di riferimento, il piedistallo di un’alternativa spendibile anche in termini delle prossime elezioni politiche. Ancora una volta ha ragione la nostra segretaria a dirsi ‘ostinatamente unitaria’”.
Il giorno dopo la sconfitta alle Comunali la maggioranza parla di rimettere mano alla legge elettorale per le amministrative che prevede il doppio turno.
“Quella è una cosa veramente incredibile. Cioè loro perdono le elezioni e il giorno dopo vogliono cambiare le regole elettorali pensando che quello sia il problema. La verità è che questa destra le regole le rispetta, o a volte se le cuce su misura, quando sono favorevoli o funzionali a lei. In questo caso dopo la sconfitta sembra davvero un modo per buttare la palla in tribuna”.
“L’idea di attribuire più autonomia non è un’invenzione del centrodestra e della sottoscritta ma un principio presente in Costituzione con il titolo V, riforma varata nel 2001 approvata a colpi di maggioranza sotto il governo di Amato, un governo della sinistra” , ha detto la premier.
“Sì, ma questo noi lo abbiamo detto mille volte. Io penso che la bicamerale fallisce nel 1998. L’ultima commissione bicamerale è stato anche l’ultimo tentativo di condurre in porto delle riforme della Costituzione in modo bipartisan, cioè con una convergenza. Dopodiché ci sono stati 26 anni durante i quali entrambi gli schieramenti hanno pensato di poter cambiare la Costituzione o di scrivere le leggi elettorali a colpi di maggioranza. Lo abbiamo fatto noi con la riforma del titolo V che fatta in quel modo fu un errore. Lo abbiamo fatto noi con la riforma Renzi nel 2016, bocciata dal referendum. Lo abbiamo fatto noi col Rosatellum che è una pessima legge elettorale. Lo hanno fatto loro con la Devolution nel 2006 e con la famosa porcata della legge elettorale, detta così da Calderoli, del Porcellum. E lo stanno facendo loro con i due pedali della bicicletta composta da premierato e Autonomia differenziata. Ma questo non toglie il fatto che noi non abbiamo mai pensato a un’Autonomia come secessione delle Regioni ricche dal resto del Paese. E riconoscendo l’errore compiuto nell’aver approvato la riforma del titolo V da soli. Ora si intende spacchettare l’Italia in 20 politiche energetiche, sanitarie, formative e dell’istruzione, diverse e questo significa la fine dell’unità del Paese, la fine dell’articolo 5 della Costituzione sull’Italia una e indivisibile. E dovrebbero pensarci su anche a destra perché, se è vero che noi faremo la nostra opposizione fermissima, anche a destra mi pare ci siano molti malumori e molti dissensi rispetto a questo modo di procedere”.
Meloni ancora una volta per giustificare la riforma leghista ricorda che l’Emilia Romagna a guida Pd – al pari di altre Regioni rosse – chiese più Autonomia nel 2018.
“Anche qui come Stefano Bonaccini ha spiegato infinite volte oramai, quella richiesta, quella pre-intesa sottoscritta col governo Gentiloni, prevedeva una serie di interventi e di deleghe di materie alla Regione senza alcun aggravio di spesa per lo Stato centrale e produceva semplicemente un miglioramento e un efficientamento di alcune procedure amministrative e burocratiche. Si può discuterne nel merito però è abbastanza curioso che per legittimare una pessima riforma che il governo sta realizzando e che ha fatto votare con una seduta notturna fiume, la presidente del consiglio si appelli unicamente a riforme del centrosinistra. Forse anche lei ne è poco convinta o addirittura è imbarazzata”.
Meloni, ancora, dice che Occhetto 30 anni fa era più avanti di Schlein sul premierato…
“Questo lo dice perché ha letto l’editoriale del direttore della Verità Belpietro, che ha rispolverato il programma dei progressisti del 1994. Anche nella commissione bicamerale si discusse dell’ipotesi di premierato contrapposta all’idea del semi-presidenzialismo. Basterebbe far notare alla Meloni, però, che era un contesto completamente diverso in cui non si è mai pensato all’elezione diretta del capo del governo. Si pensava a una forma di legittimazione attraverso la presenza del nome del candidato premier sulla scheda elettorale ma nell’ambito di una complessa architettura istituzionale di pesi e di contrappesi che superasse anche un bicameralismo paritario come quello attuale, che prevedesse la sfiducia costruttiva, la discussione dei provvedimenti di legge a data certa…Il premierato invece di Giorgia Meloni non sta in piedi. Non c’è una sola democrazia al mondo che adotta l’elezione diretta del capo del governo. Chi lo ha sperimentato per tre volte è stato Israele e che, vedendo il fallimento di quel modello, è tornato indietro sui suoi passi. Bisognerebbe suggerire alla presidente del Consiglio e al governo di esprimere con maggiore cautela i suoi giudizi. Anche di carattere storico. Tanto più sul terreno del carattere storico di questo governo converrebbe che riflettessero anche altri ministri. Ogni riferimento è casuale”.