Marilena Grassadonia, esponente di Alleanza Verdi Sinistra, ci parla delle minacce che incombono sui diritti civili in Italia proprio nel mese in cui i Pride tornano a dividere la politica. Lesbica e trans femminista ha tre figli avuti grazie a una PMA fatta in Spagna. Già Presidente nazionale dell’associazione “Famiglie Arcobaleno” e Componente della Segreteria nazionale e Responsabile “Diritti e Libertà” di Sinistra Italiana. Coordinatrice dell’Ufficio Diritti LGBT+ di Roma Capitale.
La prima edizione del Pride in Italia risale al 1994 e, a trent’anni di distanza, vediamo la regione Marche a guida FdI non riconoscere ancora una volta il patrocinio all’iniziativa definendola “politica”. Cosa ne pensa?
“Penso che in questi 30 anni il movimento lgbtqia+ ha fatto cose straordinarie. Mettendoci la faccia, i corpi e le storie ha ribaltato la narrazione del “non detto” per avviare quella dell’orgoglio di essere se stessə sempre e comunque. Oggi i Pride nel nostro Paese sono manifestazioni in cui si celebra la bellezza delle nostre vite ma sono anche momenti di forte rivendicazione politica a cui ormai tutta la società civile prende parte dando il proprio contributo. Le persone hanno capito che una società con un diritto in più è una società migliore per tuttə. Chi non concede il patrocino non conosce la storia del movimento lgbtqia+, non riconosce l’importanza di tutto questo e soprattutto è completamente distaccato dalla realtà”.
Eppure, al Roma Pride dello scorso 15 giugno gli organizzatori hanno stimato la presenza di 1 milione di persone circa. Una importante partecipazione sta registrandosi anche nelle altre città italiane (incluso il Marche Pride che si è tenuto in queste ore). La società corre più veloce della politica?
“Il movimento lgbtqia+ fa da sempre dell’intersezionalità delle lotte un punto centrale della propria azione politica. È per questo che quando si scende in piazza si parla di diritti delle persone lgbtqia+, di diritti delle persone migranti, di contrastare misoginia e patriarcato, abilismo. La società civile è al nostro fianco perché ha capito una cosa semplicissima, che non devi subire una discriminazione per contrastarla. Il riconoscimento di pari diritti misura il grado di civiltà di un Paese. La comunità lgbtqia+ non vive dentro una campana di vetro e le persone con cui condividiamo la nostra quotidianità lo hanno profondamente capito e sono ormai al nostro fianco”.
Qual è lo “stato di salute” del riconoscimento e del rispetto dei diritti civili in Italia? A partire proprio dalla possibilità di amare chiunque senza incorrere in pregiudizi, o discriminazioni.
“Il riconoscimento di diritti non gode di buona salute purtroppo. La politica non si è assunta la responsabilità di legiferare per garantire a tutti i cittadini e le cittadine pari dignità e diritti. La legge contro l’omolesbobitransfobia è stata affossata per posizionamenti ideologici che nulla hanno a che fare con la vita reale delle persone. La legge sulle unioni civili garantisce diritti e doveri di coppia ma lascia fuori la parte più debole, i bambini e le bambine figlie di due mamme o due papà che nel nostro Paese esistono da più di 20 anni e sono ancora costrette a passare da aule di tribunale per vedersi garantiti il proprio diritto alla serenità. C’è un brutto vento che soffia discriminazione e odio, che spinge verso la cristallizzazione di cittadinə di serie A e cittadinə di serie B. E c’è un governo che pur di seguire la propria propaganda ideologica sta calpestando famiglie e minori”.
Lei è lesbica e mamma in una famiglia arcobaleno. Ha incontrato difficoltà nel realizzare questo suo progetto di vita?
“La mia storia è quella di tante persone lgbtqia+ che non si sono rassegnate all’idea di non poter desiderare di diventare genitore in un Paese che non lo prevede e che ancora impedisce alle donne single e alle coppie dello stesso sesso di poter accedere a percorsi di fecondazione assistita. In molti paesi d’Europa questo per fortuna è possibile ed è grazie a questa possibilità che con la mia ex compagna oggi abbiamo tre meravigliosi ragazzi”.
I figli di coppie omogenitoriali sono tutelati in Italia?
“Assolutamente no. È necessaria una legge che garantisca a noi genitori la possibilità di assumerci i nostri doveri fin dal loro primo istante di vita. La strada che invece oggi le famiglie arcobaleno sono costrette a percorrere è un percorso a ostacoli fatto di burocrazia, giudici, assistenti sociali e fatto sempre sperando di incontrare la persona giusta al posto giusto. Perché ad esempio quando tuo figlio si fa male e non sei riconosciuta come genitore legale devi avere la fortuna di incontrare il personale sanitario giusto per poter essere al suo fianco in ospedale o in pronto soccorso”.
Quale sarebbe una battaglia da fare in sede europea in difesa delle pari opportunità?
“La battaglia è quella di fare in modo che diritti civili e sociali siano portate avanti con la medesima dignità e determinazione. Non è accettabile che chi arriva in Europa da altri Paesi rischi di finire in dei veri e propri lager. Non è possibile pensare che in Polonia le donne non possono neanche pensare di agire il proprio diritto a interrompere una gravidanza. Non è pensabile che le persone lgbtqia+ e le famiglie arcobaleno rischino di perdere diritti oltrepassando un confine. E invece oggi accade. Accade che se arrivi in Italia la tua famiglia perda per strada un genitore e se vai in Ungheria rischi da persona lgbtqia+ per la tua incolumità. L’Europa è una grande opportunità di democrazia e giustizia sociale se facciamo veicolare la buona politica, quella che ha a cuore il benessere delle persone. Io mi batterò sempre per tutto questo in ogni luogo dalle istituzioni alle piazze. E non sono sola, è questa la nostra forza”.