L’“equivalenza – scientificamente sostenuta – tra il rifiuto di un trattamento sanitario vitale in atto e il rifiuto di un trattamento sanitario futile o inutile in quanto espressivo di accanimento terapeutico”, proposta dalla Procura di Milano, è uno dei nodi che la Consulta, chiamata ancora una volta ad esprimersi sul tema del fine vita, dovrà sciogliere.
È quanto emerge dal provvedimento con cui il gip Sara Cipolla ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale affinché valuti la legittimità costituzionale o meno del reato di aiuto al suicidio di cui è accusato Marco Cappato per avere accompagnato la signora Elena e il signor Romano a morire in una clinica svizzera, chiedendo di “approfondire la nozione di trattamento sanitario vitale”.
La Consulta dovrà decidere se c’è una discriminazione
In pratica la gip ha respinto la richiesta di archiviazione proposta dalla Procura che voleva ‘allargare’ l’ambito del suicidio assistito anche a chi non è tenuto in vita con ““trattamenti di sostegno vitale”, ma ha dichiarato “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale” posta dalla Procura “nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole”.
Due diversi presupposti giuridici
Il giudice ha, infatti, ritenuto che “l’ostacolo principale all’applicazione della lettura proposta attiene alla irriducibilità di fondo entro il medesimo piano di due presupposti allo stato giuridicamente differenti” e, data l’inerzia legislativa, fa istanza alla Consulta di esprimersi sull’interpretazione offerta dai pm milanesi. Nel provvedimento, inoltre, c’è un passaggio in cui, citando Seneca, si sottolinea che con la pronuncia del 2019 (caso Dj Fabo) “il tema giuridicamente rilevante (…) non attiene al riconoscimento del diritto alla morte ma al diritto ad una vita dignitosa” con riferimento a quella “terminale”, ovvero “ad una morte dignitosa”.