I tempi per l’Autonomia differenziata si allungano. L’approvazione del disegno di legge Calderoli in Parlamento non basta per garantire la sua rapida applicazione. Le incognite sono tante: dall’esame del Colle alle richieste di referendum o di ricorso alla consulta. Il primo punto è quello che più sarà centrale nei prossimi giorni: la valutazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Che ha intenzione di fare con calma, di prendersi tutto il tempo necessario per valutare quello che il Quirinale definisce un “provvedimento complesso”, che per questa ragione necessita del “giusto tempo” per poter essere esaminato.
Le incognite dell’Autonomia
Gli uffici quirinalizi stanno valutando in questi giorni il provvedimento, ma la verifica è appena iniziata e i tempi saranno lunghi. C’è anche una richiesta da valutare, avanzata dai capogruppo del Movimento 5 Stelle di Camera e Senato: hanno chiesto al Colle di non firmare il provvedimento, rinviandolo alle Camere con un messaggio motivato, come dalle facoltà previste dalla Costituzione per il capo dello Stato. Questa ipotesi sembra però difficilmente percorribile, in quanto il disegno di legge sull’Autonomia attua la riforma costituzionale del Titolo V del 2001. Difficile, quindi, pensare che ci sia una violazione delle normi costituzionali, secondo questo ragionamento.
In ogni caso le preoccupazioni del Colle restano e sono anche state espresse dallo stesso Mattarella quando, più volte, ha fatto riferimento al gap tra le diverse aree del Paese. Parole pronunciate, per esempio, un paio di settimane fa quando ha spiegato che questo divario “frena lo sviluppo nazionale nel suo insieme”. In quell’occasione, ovviamente, il capo dello Stato non ha tirato in ballo direttamente l’Autonomia, ma più di qualcuno ha colto in quel messaggio una frecciatina sul ddl Calderoli. Ma quella del Colle non è l’unica incognita temporale che pesa sull’Autonomia, anche perché il Quirinale è vincolato alla promulgazione entro un mese. A fare la differenza dal punto di vista temporale, invece, sono il ricorso alla Consulta e l’eventuale referendum.
Sul primo spinge la presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, che vorrebbe presentare ricorso alla Corte Costituzionale per bloccare il ddl. Sulla seconda le opzioni sono due: il ricorso di cinque consigli regionali, ma in questo caso pesano le elezioni in Emilia-Romagna con le dimissioni di Stefano Bonaccini, o la raccolta di 500mila firme, per le quali Pd, M5s, Avs, Azione e +Europa sono già pronti a mobilitarsi. In entrambi i casi i tempi si potrebbero allungare e non poco. E in più, in caso di referendum, come fa notare Giorgio Mulè (Forza Italia) se non vengono definiti i Lep e i soldi per finanziarli l’esito rischia di ritorcersi contro la maggioranza.
L’unità che non c’è
Proprio nella maggioranza si consuma un’altra partita sull’Autonomia. L’unico partito convinto resta la Lega, come dimostrano anche le parole di Luca Zaia, secondo cui questo è “l’ultimo treno che passa per l’Italia”. Non sembra pensarla così Fratelli d’Italia, che accoglie la riforma con freddezza ma si “accontenta” dello scambio con il premierato. Mentre sono esplicite le insofferenze di Forza Italia. Dopo le proteste del presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, gli azzurri ora puntano sull’istituzione di un Osservatorio per offrire più garanzie al Sud. Il leader di Fi, Antonio Tajani, parla della “esigenza di rassicurare” il Sud e non possono bastare gli ordini del giorno approvati in Parlamento. Alla fine, considerando le divergenze nella maggioranza, i tempi lunghi sembrano far felici tutti. Soprattutto nel governo.