Nella Lega la chiamano la zarina, anche se oggi sembra piuttosto spenta. Susanna Ceccardi è colei che nel 2014, ospite di Michele Santoro, disse: “Chi mi accusa di tenere più alla vita di un chihuahua che alla vita di un immigrato, non capisce che i chihuahua non sbarcano a migliaia sulle nostre coste”. Da sindaca di Cascina (Pisa) disse: “Non ho messo la foto di Sergio Mattarella nel mio ufficio, è un retaggio dell’ancien régime” e si rifiutò di celebrare un unione civile gay perché, “il registrucolo degli amanti omosessuali è un’invasione di campo che ha ragioni di progettualità ideologica in vista del mutamento del concetto di famiglia”.
Nel 2017 disse “menomale” che i medici calabresi guadagnano meno di quelli dell’Emilia Romagna. Qualche mese fa ha confuso Aldo Moro con Berlinguer e con De Gasperi. Due anni fa ha confuso l’articolo 1 con l’articolo 3 della Costituzione. Per queste elezioni europee Ceccardi ha giocato la sua campagna con lo slogan “o me” e “o lui/lei”, nel goffo tentativo di polarizzare il suo elettorato (come se ce ne fosse bisogno). L’ha fatto con Mimmo Lucano, l’ha fatto con Lucia Annunziata, l’ha fatto Ilaria Salis, l’ha fatto con Elly Schlein.
Lucano, Annunziata e Salis sono stati comodamente eletti a Strasburgo, facendo incetta di voti. Elly Schlein ha incassato un clamoroso risultato da segretaria del Partito democratico. Si potrebbe tranquillamente dire che gli elettori tra Ceccardi e gli altri hanno sempre scelto gli altri. Lei è rimasta in silenzio per ore perdendo la grinta della campagna elettorale, appesa alla ripartizione dei seggi che la Lega potrebbe racimolare in giro e alle scelte del generale Vannacci. È il rischio di fare i bulli: quando si perde, si perde sempre fragorosamente.