L’appello rivolto dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ai Paesi membri affinché autorizzino l’Ucraina a colpire la Russia con le armi da loro fornite, è l’estremo tentativo di prolungare una guerra ormai persa che, sin dall’inizio, una ristretta minoranza di voci fuori dal coro, compresa quella di questo giornale, aveva definito sbagliata e sciagurata.
Eppure, oltre due anni e cinquecentomila morti dopo, la linea dell’Alleanza atlantica resta appiattita su quella degli Stati Uniti, prima potenza militare della Nato e unico Paese del blocco occidentale ad aver lucrato sul conflitto a discapito degli alleati. Un’Europa debole, impegnata a sostenere lo sforzo bellico in Ucraina pagando il prezzo delle (auto) sanzioni a Mosca e della rottura delle relazioni commerciali con la Russia (vedi l’interruzione delle forniture di gas), era quanto di meglio potesse capitare agli Stati Uniti.
Non solo per gli ovvi risvolti economici, ma anche per procrastinare l’inesorabile agonia dell’atlantismo, ormai sfiancato dalla crescita delle potenze emergenti, e dell’unilateralismo con il quale, sin dal dopoguerra, gli Stati Uniti hanno gestito le relazioni internazionali. Ora resta da vedere cosa farà l’Europa. E in particolare l’Italia. Per capire se la presa di distanze di Meloni, Salvini & C. dalle parole di Stoltenberg sia solo una posizione di facciata (obbligata) a due settimane scarse dalle elezioni prima di tornare, ad urne chiuse, agli ordini di Washington. In altre parole se si scrive Nato, ma si legge Usa. Si accettano scommesse.