L’ultimo progetto, presentato solo due giorni fa ai cittadini, prevede di “trasformare” (ma sarebbe meglio dire “radere al suolo”) il mercatino rionale di via delle Ande al Gallaratese di un piano, in un palazzo alto sei piani. Residenziale che si “mangia” il terziario, perché i cittadini del Gallaratese non hanno bisogno di fare la spesa, del bar, dei negozi di vicinato…
Ma quel progetto ha una peculiarità che lo differenzia dalle centinaia presentate (e approvate) negli ultimi anni dal settore Urbanistica del Comune e ora bloccati causa indagini: nelle intenzioni dei progettisti, illustrate ai preoccupati residenti, l’edificio non supererà i 25 metri d’altezza. Non sarà cioè l’ennesima torre. Sì, perché quota 25 metri – secondo le norme – è uno spartiacque (o meglio, doveva esserlo, se Palazzo Marino le avesse fatte rispettare): sotto i 25 metri non è previsto il “Piano attuativo” per le nuove costruzioni, quello che calcola il fabbisogno di nuovi servizi, parcheggi, scuole, fognature ecc…, necessari per l’arrivo di nuovi residenti. Sopra i 25 metri, invece sì.
Ed è intuitivo che se non si fa il Piano attuativo, i tempi delle autorizzazioni si accorciano e i costi per chi costruisce diminuiscono. Per anni gli uffici dell’urbanistica hanno permesso ai costruttori di aggirare tale norma, grazie all’interpretazione (tutta milanese) delle leggi sulla “ristrutturazione dell’esistente”. In pratica, hanno accettato che quando si abbattevano ex laboratori di due piani e si erigevano torri alte 81 metri (come accaduto in via Crescenzago 141), l’intervento fosse classificato come ristrutturazione e quindi bastasse una semplice Scia (Segnalazione certificata di inizio attività).
Così è nata la bolla speculativa immobiliare di Milano
Così è nata la bolla immobiliare milanese: centinaia di palazzi autorizzati dagli uffici (e mai passati dal Consiglio Comunale, come previsto dalle legge), edificati senza piani generali di impatto, a costi ribassati, con tanti soldi finiti nelle tasche di costruttori, progettisti, asseveratori, architetti. Puro guadagno, per loro. Pura perdita per i cittadini.
Le lacrime (di coccodrillo) dell’Assessore all’Urbanistica
Ora, proprio quel mondo piange, perché la Procura ha interrotto il bengodi. A farsi da portavoce del “disagio” degli imprenditori del mattone, paradossalmente, è stato l’assessore alla rigenerazione urbana Giancarlo Tancredi, che ha lanciato l’allarme: “Da gennaio 2024 abbiamo un crollo verticale delle pratiche che va oltre il 50%, una situazione che ha conseguenze sulle entrate degli oneri di urbanizzazione e delle voci connesse”.
E ancora, “nelle casse del Comune entreranno qualche decina di milioni di euro in meno”. Nel 2023 Palazzo Marino ricavò 220 milioni di euro di oneri edificatori, quest’anno potrebbe prenderne la metà, ha calcolato Tancredi. Intanto, gli uffici hanno emanato una circolare per sbloccare i progetti edilizi più semplici, data la paralisi. Il tutto in attesa della sanatoria concertata dal sindaco Beppe Sala e dal ministro Matteo Salvini.
Di chi è la colpa della crisi dell’urbanistica?
La crisi è quindi colpa della Procura? No, è colpa del mercato drogato degli anni scorsi e delle responsabilità della giunta Sala per i soldi non richiesti prima ai costruttori. A partire dalla cosiddetta “monetizzazione degli standards”. Secondo la legge il costruttore deve “restituire” al Comune aree equivalenti a quelle nuove che edifica, le quali saranno destinate a fini sociali. Se non le possiede, o se il Comune le ritiene inutilizzabili, il costruttore può pagare in denaro “una somma commisurata all’utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione o comunque non inferiore al costo dell’acquisizione di altre aree”, recita la norma.
Le monetizzazioni sottostimate e i danni alla comunità
Tuttavia negli anni questa “monetizzazione” è stata calcolata su prezzi immobiliari fermi a valutazioni di 35/40 anni fa! Per Crescenzago, per esempio, le aree furono valutate 209,88 euro/mq, una quotazione risalente al 1997. Secondo i periti della Procura il valore reale era di oltre 1000 euro/mq, come scriveva il Gip Daniela Cardamone il 22 gennaio 2024.
Per il progetto di via Lepontina 7/9 (zona Monumentale), il Comune ha accettato dai costruttori una monetizzazione di 381 euro/mq, quando, sottolinea la pm Marina Petruzzella “nel comune di Gorgonzola il valore di mercato di un’area nel 2008 era di euro 537,5”, quindi, “non è minimamente credibile che nel 2019 nel Comune di Milano il valore di un’area potesse essere 381,03 euro/mq”. Tutti soldi sottratti ai bisogni dei milanesi (che poi quelle nuove case non se le possono neanche permettere, perché troppo costose). E certamente non a causa dalla Procura.