di Clemente Pistilli
Non serve più neppure scomodarsi a cercare un giudice a Berlino, basta un cavillo e in Italia il nero diventa bianco, il corrotto un uomo che deve essere risarcito dallo stesso ente che ha danneggiato. E’ andata così per un ufficiale dei vigili urbani di Torino, condannato in via definitiva per falso e corruzione, ma che per un vizio nell’iter seguito dal Comune per licenziarlo è stato reintegrato e ora i giudici hanno anche stabilito che dovrà essere risarcito per il periodo che è stato sospeso dal servizio. Era la seconda metà degli anni novanta quando all’ombra della Mole esplose vigilopoli. La Procura ricostruì una ragnatela di abusi, con camionisti costretti a versare mazzette per passare con carichi irregolari, automobilisti che pagavano per farsi annullare una multa e persino una cassa comune per le tangenti, che i “caschi bianchi” poi si dividevano. Un ufficiale venne sospeso e gli venne bloccato anche lo stipendio. Venne condannato a due anni di reclusione, in appello ridotti a uno e il Comune nel 1999 lo licenziò. Il vigile non si è arreso e grazie a un cavillo legale appunto, a un vizio di forma nella procedura seguita dall’ente pubblico, ha ottenuto la reintegra. Provvedimento disciplinare illegittimo perché, come si dice in gergo, estinto per vizio procedurale. A quel punto l’ufficiale ha chiesto anche di essere risarcito per il periodo che, essendo stato sospeso, era stato costretto a restare a casa. Dopo essersi visto respingere le sue richieste dal Tribunale e dalla Corte d’Appello di Torino, il “casco bianco” ha fatto ricorso in Cassazione, dove si è ora visto riconoscere le sue ragioni. Per gli ermellini “l’amministrazione deve imputare a se stessa gli effetti della mancata tempestiva definizione del procedimento disciplinare”. E ancora: “Al dipendente rimangono soltanto gli effetti sfavorevoli che scaturiscono dal processo penale”. Il vigile dovrà così essere risarcito dei mancati stipendi e a stabilire esattamente quanto il Comune dovrà dare al funzionario sarà la Corte d’Appello torinese, a cui la Suprema Corte ha rinviato il procedimento.