Il presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi, e il ministro degli Esteri, hanno perso la vita nello schianto dell’elicottero su cui viaggiavano domenica scorsa. Subito dopo l’incidente, c’è chi ha paventato il possibile sabotaggio del velivolo attribuendolo o ad agenti esteri israeliani oppure a una possibile lotta di potere interna a Teheran per decisione della Guida Suprema, Ali Khamenei, per affidare il potere al figlio. Tutte ipotesi che l’Iran ha rispedito al mittente parlando di un generico “guasto” al velivolo.
Generale Vincenzo Camporini, candidato alle europee nella lista di Azione, lei che idea si è fatto su questa vicenda?
“Per esprimere una valutazione fondata, bisognerebbe avere accesso ai rottami e a tutti i dati disponibili. Osservo peraltro che l’elicottero di cui si parla è un Bell 212 che risale ai tempi di Reza Pahlavi; è una macchina che conosco, con cui ho volato, e che non è idonea a un volo in condizioni di scarsa visibilità come quella descritta: è quindi molto probabile che si sia trattato di un incidente”.
Ora cosa potrebbe succedere a Teheran, in un Paese che, come noto, è attraversato da forti tensioni sociali e una certa diffidenza verso il regime?
“Il sistema istituzionale è del potere in Iran è molto strutturato; il Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, creato come contraltare alle forze armate tradizionali, risponde direttamente al vertice religioso, dispone anche di significative capacità aeree e navali e ha una forte presa sul sistema economico. L’opposizione interna esiste, ma è controllata in modo ferreo. Tutto ciò mi induce a pensare che non ci saranno sconvolgimenti istituzionali e che si assisterà a un passaggio di consegne più o meno regolare”.
Alla luce di questo incidente, si aspetta che l’Iran cambierà la propria postura internazionale e in particolare il supporto alle milizie filo iraniane di Hamas, Hezbollah e Houthi?
“Non credo che cambierà qualcosa: il regime ha una posizione molto rigida al riguardo e ha le risorse per continuare a sostenerla”.
La crisi in Medio Oriente preoccupa non poco e fin qui le trattative di pace al Cairo non hanno dato esito. Secondo lei cosa dovrebbe accadere per sbloccare i negoziati?
“Molto dipenderà dalle capacità di Washington di influire sulle decisioni di Benjamin Netanyahu: gli equilibri politici interni in Israele vedono le forze della destra legata al mondo degli ultra ortodossi in grado di continuare a sostenere il premier”.
Come giudica l’azione fin qui tenuta dall’Unione europea nella gestione del dossier mediorientale?
“Purtroppo l’Unione europea, priva di una politica estera comune strutturata, è un protagonista marginale delle vicende in Medio Oriente”.
Con le imminenti elezioni europee, cosa dovrebbe fare l’Unione europea per evitare che il conflitto in Medio Oriente possa degenerare?
“Abbiamo l’assoluta necessità di procedere speditamente verso forme di integrazione sempre più strette. In caso contrario continueremo ad essere spettatori, senza essere in grado di favorire un processo di pace”.
In qualità di candidato alle europee, lei come e in cosa cambierebbe l’Europa?
“Occorre ridurre il perimetro delle competenze che gli Stati membri rivendicano come competenze sovrane, per le quali le decisioni devono essere prese all’unanimità e dotare il Parlamento Europeo di capacità di iniziativa legislativa, che ora non è prevista. Su questi temi Azione, con tutti i candidati della lista Siamo Europei, ha sempre sostenuto senza tentennamenti le ragioni di un’Unione Europea coesa e autorevole, incardinata nel sistema delle democrazie occidentali che da decenni hanno garantito ai loro cittadini i diritti fondamentali, consentendo una crescita di cui tutti quanti abbiamo beneficiato”.