Passati ventisette mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, Vladimir Putin tende la mano all’Occidente e apre alle trattative di pace. Lo zar, durante il secondo giorno di visita in Cina per rafforzare i rapporti bilaterali con Xi Jinping, ha stupito il mondo intero con una conferenza stampa in cui ha dichiarato che “la Russia non ha mai rifiutato i negoziati sul conflitto ucraino”.
Anzi, il leader russo, con una strategia diplomatica caldeggiata con forza da Pechino, ha detto molto chiaramente che è “necessaria una soluzione politica” alla guerra, al fine di “evitare un’escalation del conflitto” dagli esiti imprevedibili. Insomma, parole che smentiscono la tesi dei leader occidentali che hanno sempre sostenuto che “Putin non vuole la pace”. Certo, alla luce degli ultimi anni, è lecito dubitare delle reali intenzioni dello zar, anche se l’apertura a colloqui di pace non sembra affatto campata in aria. Infatti, poggia sulla base dell’accordo che era stato raggiunto a Istanbul nel lontano 2022 che, secondo Putin, “è una solida base per la trattativa”. In quell’occasione, ricorda lo zar, la delegazione russa e quella ucraina avevano trattato per “un mese e mezzo”, fino ad arrivare alla stesura di un documento condiviso che, però, non è mai stato ratificato.
Da quel giorno, però, la situazione è enormemente cambiata quindi, se Volodymyr Zelensky e i suoi alleati si renderanno disponibili, sarà necessario rivedere l’accordo. A spiegarlo è ancora Putin, secondo cui: “Dovremmo lavorare su formule basate su cosa? Sui desideri, e non sulla situazione reale? Questo è impossibile”. Il riferimento, molto probabilmente, è relativo alle conquiste territoriali da parte della Russia che sono state effettuate nel corso della guerra e che, per ovvie ragioni, non erano state comprese nella trattativa a Istanbul.
Putin avverte che la Russia non accetterà ultimatum
Chiaramente lo zar, forte dei successi militari degli ultimi tempi, non è disposto a tutto pur di concludere il conflitto. Come da lui spiegato nel corso della conferenza stampa, il Cremlino “sta esaminando ciò che sta accadendo intorno all’annunciato incontro in Svizzera per discutere della pace in Ucraina”. Un summit per trovare una exit strategy che appare destinato al fallimento visto che la Russia, ossia il Paese aggressore, non è stata neanche invitata e quindi non parteciperà.
Proprio in relazione a questo vertice, Putin ha aggiunto che “naturalmente non discuteremo nessuna formula scritta senza il nostro consenso, ma non abbiamo mai rifiutato i negoziati, a differenza della parte ucraina che si è ritirata dal processo negoziale” quando, come ricordato tempo fa dal ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, a Istanbul le parti erano arrivate a un passo dall’accordo, ma questo alla fine era saltato “a causa della ferma opposizione dell’allora primo ministro inglese, Boris Johnson, che aveva convinto Zelensky a continuare a combattere”.
Poi, se non fosse abbastanza chiaro, Putin ha aggiunto che il vertice in Svizzera ha “un chiaro significato: riunire quanti più Paesi possibile, per poi dichiarare che tutto è concordato e poi presentare il risultato finale alla Russia come una questione già risolta, come un ultimatum” che il Cremlino non intende neanche prendere in considerazione.
Malgrado l’apertura di Putin, in Ucraina si continua a combattere
Dopo quest’apertura, ovviamente tutta da valutare, è chiaro che lo zar ha lanciato la palla nel campo di Zelensky e dei suoi alleati, che dovranno capire cosa e come rispondere. In attesa che il negoziato riparta, in Ucraina si continua a combattere furiosamente per il controllo della regione di Kharkiv. Al momento la situazione sembra essere tornata in stallo, con l’esercito russo che, dopo giorni di successi militari, ora sembra aver rallentato l’avanzata.
Secondo Zelensky ciò è merito “degli eroi dell’Ucraina” che avrebbero stabilizzato il fronte, mentre Putin, sempre da Pechino, ha spiegato che in realtà ha fermato le truppe perché la sua intenzione non è quella di conquistare l’importante città, quanto quella di creare una zona cuscinetto che impedisca alle truppe di Kiev di colpire in Russia.