La svendita non è finita. Anzi, è appena iniziata. Il processo di privatizzazioni avviato dal governo prosegue. Non solo con la vendita della quota di Eni, ma continuerà nei prossimi mesi con nuove operazioni in vista. Ma andiamo con ordine: il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, punta alla riduzione del debito attraverso le quote degli asset strategici del Paese.
Nelle scorse ore è toccato alle quote di Eni: il Mef ha ceduto il 2,8% per un incasso da 1,4 miliardi. Una mossa che non ha portato benefici in Borsa per il colosso energetico che, in un contesto di vendite sui petroliferi in Europa, ha ceduto il 2,2% fermandosi a quota 14,78 euro. Ovvero al di sotto del prezzo del collocamento della quota del Mef a 14,85 euro. Per Eni, il Tesoro scende dal 4,797% all’1,997%, ma il controllo pubblico resta garantito grazie alla partecipazione di Cdp al 28,50%, per un totale di quote dello Stato al 30,5%.
L’obiettivo restano i 20 miliardi totali di incassi dalle privatizzazioni. Per un processo iniziato con Mps. Con Eni si è ripetuta la stessa operazione: una procedura di vendita accelerata a Borse chiuse. Per Monte dei Paschi si è optato per una prima cessione del 25% e poi una seconda, a marzo, del 12,5%. Per un incasso totale di quasi 1,6 miliardi.
Privatizzazioni, non è finita
Il Mef, intanto, studia le prossime mosse. La prima potrebbe riguardare Poste Italiane. Ma da vendere, secondo i piani di Giorgetti, c’è tanto. L’obiettivo fissato dalla Nadef in autunno è di arrivare all’1% del Pil entro il 2027. Poi il Def ha limato il target, tanto che la Corte dei Conti ha sottolineato che parliamo invece di sette decimi di Pil nel periodo 2025-2027. Come detto, la prima potrebbe essere Poste: oggi lo Stato ne detiene il 64% tra il 29% del Mef e il 35% di Cdp. Non si scenderà sotto il 35%, è già stato garantito, ma si vuole “massimizzare” gli introiti. L’ipotesi più ottimistica per il Mef è quindi di cedere tutta la sua quota per incassi pari a 4,4 miliardi circa.
Poi il governo potrebbe tornare su Mps, forse già in estate, una volta decorsi i 90 giorni dalla precedente operazione. Ma non è finita, perché il Mef pensa anche a Fs, di cui detiene il 100%. E, ancora, ad Enav (è al 53,28%) e ad altri due pezzi grossi come Enel (23,59% di quote) e Leonardo (30,20%). Inoltre si attende di sapere che fine farà l’operazione di vendita di Ita a Lufthansa che può fruttare 325 milioni, ma su cui l’Ue continua a esprimere dubbi e il via libera non è per nulla scontato.
Per i sindacati quella del governo è una “resa ai poteri forti”, una vera e propria svendita degli asset strategici. Una “soluzione fallimentare” per la Cgil, ma un problema anche per chi – come la Cisl – sottolinea che si tratta di aziende strategiche per il Paese, proprio come nel caso di Eni.