Dopo sette mesi di guerra in Medio Oriente e 35mila vittime, almeno stando ai conteggi effettuati dal Ministero della Sanità con sede a Gaza, continua il duello a distanza tra le Nazioni Unite e Israele. Se dal governo di Benjamin Netanyahu si ripete da tempo che la stragrande maggioranza dei palestinesi caduti in battaglia sono “terroristi di Hamas” e che in tempo di guerra è normale che ci sia una parte residuale di perdite civili, le autorità della Striscia e l’Onu la pensano in modo diametralmente opposto.
Netanyahu tira dritto su Gaza e si prende gioco di Biden
Secondo Christian Lindmeier, portavoce dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che fa parte dell’Onu, i dati indicano che “donne e bambini costituiscono almeno il 56 per cento delle 35.173 persone uccise nel corso della guerra di Gaza”. Nel dettaglio, con i numeri aggiornati al 30 aprile, risulta quasi 25mila le persone identificate: il 40 per cento sono uomini, il 20 per cento donne, il 32 per cento bambini e il restante 8 per cento anziani. Un conteggio che per Lindmeier è “il più completo e attendibile” fornito fino ad oggi.
Cosa ancor più grave è che si tratta di dati provvisori, visto che il portavoce dell’Oms fa notare che i numeri non tengono conto delle persone ancora sotto le macerie, che sarebbero diverse migliaia, e che dovrebbero essere “per lo più donne e bambini, perché sono quelli che solitamente restano a casa” durante i combattimenti. Una ricostruzione che viene smentita da Tel Aviv, che continua a sostenere che le Nazioni Unite e le agenzie collegate stiano diffondendo “pericolose fake news”, alimentando e giustificando il terrorismo.
Intanto le forze di Tel Aviv continuano a martellare la Striscia
In tutto questo, Israele continua a martellare la Striscia di Gaza e, soprattutto, la città di Rafah e il campo profughi di Jabalia, dove continuano a registrarsi decine di vittime al giorno. Quello che sembra incredibile è che, mentre Joe Biden continua ad avvertire Netanyahu di evitare nuove stragi altrimenti sarà costretto a mettere in stand by il supporto americano allo Stato ebraico, il governo di Tel Aviv non solo tira dritto, ma addirittura bacchetta gli Usa chiedendo “maggior supporto”.
Infatti, il ministro del gabinetto di guerra israeliano, Benny Gantz, ha telefonato al consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, sottolineando “l’imperativo di aumentare la pressione internazionale su Hamas oltre a continuare con quella militare per garantire un accordo per la restituzione degli ostaggi e rimuovere la minaccia” del movimento terrorista. Insomma, il governo Netanyahu, come già affermato più volte nelle settimane scorse, non intende farsi condizionare perché intende condurre il conflitto in modo autonomo, anche se tutto ciò potrebbe complicare non poco i rapporti con il suo storico alleato.
Bruxelles alza la voce con il premier israeliano: basta mattanza a Gaza
Del tutto diverso è lo stato dei rapporti tra Israele e Unione Europea. L’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell, ha nuovamente esortato Tel Aviv a interrompere “l’operazione a Rafah, che sta ulteriormente compromettendo la distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza e sta portando a ulteriori sfollamenti interni, all’esposizione alla carestia e alla sofferenza umana”.
“Più di un milione di civili si stanno rifugiando a Rafah e dintorni e a loro è stato detto di evacuare in aree che, secondo le Nazioni Unite, non possono essere considerate sicure. Sebbene l’Ue riconosca il diritto di Israele a difendersi, Israele deve farlo in linea con il diritto internazionale umanitario e garantire sicurezza ai civili”, prosegue Borrell. “Se Israele dovesse continuare la sua operazione militare a Rafah, ciò metterebbe inevitabilmente a dura prova le relazioni dell’Ue con Israele”, ha concluso il capo della diplomazia di Bruxelles.