Mentre le forze di Benjamin Netanyahu continuano con i raid e le operazioni mirate su Rafah, in tutto il Medio Oriente cresce la tensione per una possibile escalation del conflitto. Dopo aver cercato in ogni modo di evitare l’attacco, il governo egiziano del presidente Abdel Fattah al-Sisi fa sapere, letteralmente senza giri di parole, che l’operazione nella città al confine con l’Egitto “mette ad alto rischio il suo trattato di pace con Israele, considerato una pietra angolare della stabilità regionale”.
Un funzionario dell’esecutivo del Cairo, sentito dall’Associated Press, ha spiegato che “l’Egitto alza l’allerta” dopo che l’esercito israeliano ha preso il controllo del valico di Rafah, chiuso per il sesto giorno consecutivo. Il presidente egiziano, assicura il funzionario, “segue da vicino gli sviluppi della situazione a Gaza con una unità di crisi, dando direttive per intensificare le misure necessarie a prevenire un’ulteriore escalation”.
A Rafah precipita la situazione
Numerosi camion sono ammassati in attesa di entrare nella Striscia, così come ambulanze in attesa di ricevere feriti o malati, ma distanti dai cancelli dei terminal. Tutti i palestinesi feriti già in Egitto sono stati trasferiti dagli ospedali Sheikh Zuweid, Al-Arish, Bir Al-Abd e Nakhal ai governatorati vicini come parte dei preparativi ad una eventuale apertura del valico di Rafah che vedrà un grande afflusso di altre persone bisognose di cure. L’Egitto fa poi sapere che sta “ancora lavorando per contenere la crisi a Gaza attraverso il cessate il fuoco e il rilascio dei prigionieri”.
Con il peggiorare della situazione a Rafah, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) fa sapere che “circa 300 mila persone sono già fuggite” dalla città nel sud della Striscia di Gaza soltanto nel corso dell’ultima settimana. In un post su X l’Unrwa ha aggiunto che “lo sfollamento forzato e disumano dei palestinesi continua”, ribadendo che “non c’è alcun posto sicuro dove andare” nell’enclave palestinese.