Secondo la chiave di lettura che abbiamo fornito ieri sul nostro giornale, le contestazioni alla ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, Eugenia Roccella agli Stati Generali della Natalità, hanno finito per salvare la faccia alla stessa titolare di un dicastero dal nome così impegnativo e a un governo che non sta facendo nulla per fronteggiare l’inverno demografico in cui è sprofondato il nostro Paese.
I dati sul crollo della natalità
Nel 2023 – primo anno intero del governo Meloni – si è accentuato il calo delle nascite. Secondo i dati provvisori comunicati dall’Istat a fine marzo, i nati residenti in Italia sono 379mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è di 14mila unità (-3,6%). Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197mila unità (-34,2%).
La riduzione della natalità riguarda indistintamente nati di cittadinanza italiana e straniera. Questi ultimi, pari al 13,3% del totale dei neonati, sono 50mila, 3mila in meno rispetto al 2022.
L’appello sulla Natalità del Papa
Il calo della natalità deve essere affrontato con “lungimiranza”. “A livello istituzionale, urgono politiche efficaci, scelte coraggiose, concrete e di lungo termine”, ha ammonito il Papa agli Stati generali della Natalità. “C’è bisogno di un impegno maggiore da parte di tutti i governi, perché le giovani generazioni vengano messe nelle condizioni di poter realizzare i propri legittimi sogni”.
Per questo bisogna “porre una madre nella condizione di non dover scegliere tra lavoro e cura dei figli; oppure liberare tante giovani coppie dalla zavorra della precarietà occupazionale e dell’impossibilità di acquistare una casa”.
Governo Meloni assente per le famiglie
Già perché se nel nostro Paese si fanno meno figli è anche colpa dell’assenza di politiche a favore delle famiglie e soprattutto delle donne, con l’assenza di servizi quali gli asili nido, e di politiche di formazione rivolte alla popolazione femminile per rendere più agevole l’ingresso nel mondo del lavoro.
L’Italia resta fanalino di coda in Europa per tasso di occupazione. E maglia nera per quella femminile. Nel nostro Paese tra i 20 e i 64 anni lavora solo il 56,5% delle donne a fronte del 70,2% della media Ue. Il tasso di occupazione maschile è al 76% (80,5% in Ue). E il divario con le donne è di 19,5 punti, quasi il doppio della media Ue (10,3%).
Il nostro Paese con il 56,5% di occupate donne tra i 20 e i 64 anni resta lontano soprattutto dalla Germania (77,4%) e dalla Francia (71,7%) ma è lontana quasi dieci punti anche dalla Spagna (65,7%). E contro questi numeri a nulla valgono i bonus del governo.
Come se non bastasse Repubblica ha rivelato come il governo abbia lasciato scadere – lo farà per la precisione il 12 maggio, proprio nel giorno della festa delle mamme – le deleghe del Family act, ovvero della riforma draghiana che il Parlamento approvò all’unanimità nel 2022, con la sola astensione di Fratelli d’Italia. Dopo averne salvato solo un frammento, vale a dire l’assegno unico per i figli. Per una ragione prosaica: non ci sono i soldi.
Ma questo governo ci ha abituati ormai all’idea che è più facile fare cassa sui poveri, sui pensionati e sulle famiglie, piuttosto che toccare i poteri forti, come le banche. Il Family act era, ricorda Repubblica, una legge di nove articoli e quattro deleghe al governo.
E andava dal sostegno alle spese educative dei figli ai nidi fino a gite e cure dei disturbi dell’apprendimento. Dall’aumento significativo dei congedi di paternità all’incremento delle indennità di maternità. Dall’incentivo al lavoro e all’imprenditoria femminile al sostegno alla spesa delle famiglie per la formazione dei figli e l’autonomia finanziaria dei giovani.