Dopo sette mesi di guerra e davanti alla devastazione della Striscia di Gaza, tanti immaginavano che la fine del conflitto in Medio Oriente non fosse poi tanto distante. Peccato che le cose siano ben più complesse al punto che le ostilità tra i terroristi di Hamas e l’esercito di Israele sembrano destinate a durare a lungo. A lasciarlo intendere è il portavoce militare di Tel Aviv, Daniel Hagari, che interpellato dal quotidiano Yedioth Ahronoth, ha detto chiaro e tondo: “Non inganneremo l’opinione pubblica: anche dopo che ci saremo presi cura di Rafah, ci sarà il terrorismo. Hamas si sposterà a nord e si riorganizzerà”.
Una frase che smentisce mesi di retorica da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, che si diceva più che certo di una vittoria definitiva sui miliziani palestinesi attraverso il blitz a Rafah, al punto da aver messo la sconfitta dell’organizzazione terroristica come condizione sine qua non per la fine del conflitto. Ma la realtà è che l’operazione militare nella Striscia di Gaza, inclusa l’invasione della città al confine con l’Egitto, difficilmente riuscirà a debellare Hamas che, malgrado enormi perdite, non appare nemmeno lontanamente vicina a una disfatta totale.
Lo sa bene Hagari che proprio per questo ha annunciato che l’esercito israeliano di autodifesa ha “presentato un piano al governo per combattimenti a Gaza che dovrebbero durare un anno”, precisando che l’area “è forse uno dei teatri più difficili al mondo: sovraffollata e piena di tunnel”. Ma lo stesso portavoce militare, deciso a mettere i puntini sulle i, ha aggiunto anche che appare evidente come “andiamo incontro ad anni difficili e dovremo spiegarlo sia all’interno, sia all’esterno”.
Sulla guerra di Gaza, Netanyahu è stato sbugiardato
Che Israele non sia minimamente intenzionato a chiudere la partita, lo si capisce anche dalle parole del ministro degli Esteri di Tel Aviv, Israel Katz, che ha letteralmente chiuso le porte a una pace duratura. “Riconoscere uno Stato palestinese dopo il 7 ottobre significa premiare Hamas che ha ucciso oltre 1.000 israeliani”, ha spiegato il ministro aggiungendo che un simile risultato si tradurrebbe anche nel “dare un premio al regime iraniano” e che sul lungo periodo significherebbe “vivere con la possibilità di un altro 7 ottobre”.
Per non parlare del fatto che le trattative al Cairo per raggiungere un accordo che porti a un cessate il fuoco e alla liberazione degli ostaggi, sembrano essersi irrimediabilmente complicate visto che Barak Ravid di Axios, sul social X, ha scritto che “tra Israele e Hamas resta ancora ampia la distanza per raggiungere un accordo”, aggiungendo che “la proposta” dei miliziani palestinesi “supera tutte le linee rosse di Israele e non consente alcun progresso”.
Indiscrezione che è stata confermata poco dopo dall’abbandono del tavolo di lavoro in Egitto da parte della delegazione di Tel Aviv, con una mossa che è stata duramente criticata da Hamas secondo cui “i colloqui di pace sono finiti” perché “Netanyahu è tornato al punto di partenza”.
Il pressing di Biden per fermare le ostilità a Gaza
In questo scenario ad alta tensione, continuano le pressioni di Joe Biden sul leader di Tel Aviv affinché fermi l’iniziativa militare a Rafah e torni a trattare per il cessate il fuoco. Con una mossa che è destinata a fare rumore, gli Stati Uniti hanno ufficialmente sospeso la consegna a Israele di un maxi carico di 1800 bombe da 910 chili di esplosivo e altre 1700 da 225 chili. La decisione è stata presa a seguito della mancata risposta di Israele alle “preoccupazioni” di Washington in merito all’annunciata offensiva sulla città nel sud della Striscia di Gaza.
Una misura estrema che, però, non sembra aver prodotto grandi risultati visto che l’aviazione ha continuato a martellare Rafah mentre l’esercito, che sta assediando la città, ha aperto per poche ore il valico di Kerem Shalom a Gaza per far passare gli aiuti umanitari, scatenando l’indignazione dell’Ue e dell’Onu.