Al Tar del Lazio è stato depositato un ricorso che fa tremare (non poco) la politica, o almeno quella politica interessata a mettere le mani sulla Rai. È quello presentato contro le modalità di nomina dei due membri del Cda Rai da parte della Camera da tre ex figure di peso della televisione: il giornalista Antonino Rizzo Nervo, già direttore del TG3 e consigliere di amministrazione Rai; il professor Stefano Rolando, ex-dirigente Rai ed ex Direttore generale del Dipartimento Informazione ed Editoria alla Presidenza del Consiglio e Patrizio Rossano, anch’egli ex-dirigente di Rai e Rai Way, dove ha l’incarico di responsabile delle relazioni esterne. Tre pezzi grossi, insomma.
I tre contestano la procedura di scelta dei due consiglieri Rai da parte della Camera
I tre “big” contestano, in punta di diritto, la procedura prevista alla Camera per la scelta dei due consiglieri. In particolare, per i ricorrenti, sarebbe al di fuori della legge l’utilizzo dell’Avviso pubblico con il quale la Camera accetta le autocandidature per il Cda, senza che sia prevista una “procedura di selezione” e non si preveda “una selezione dei candidati sulla loro competenza, magari mediante predisposizione di una rosa di nomi da sottoporre al voto dell’assemblea”, si legge nel ricorso che La Notizia ha visto in esclusiva.
Per i ricorrenti, “l’avviso non consente agli scriventi di partecipare in modo serio e informato a una procedura in cui vi sia un’effettiva (e trasparente) valutazione dei curricula dei soggetti che hanno presentato la propria candidatura”.
Basta mandare il cv, poi la politica sceglie…
In effetti, il regolamento prevede solo che “i componenti del consiglio di amministrazione di designazione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, di cui al comma 15, lettera a), devono essere eletti tra coloro che presentano la propria candidatura nell’ambito di una procedura di selezione il cui avviso deve essere pubblicato nei siti internet della Camera, del Senato e della RAI Radiotelevisione italiana S.p.a. almeno sessanta giorni prima della nomina. Le candidature devono pervenire almeno trenta giorni prima della nomina e i curricula devono essere pubblicati negli stessi siti internet”.
E per auto-candidarsi, secondo quanto si legge nelle 19 righe dell’avviso pubblico pubblicato dalla Camera il 21 marzo 2024 (con termine ultimo il 20 aprile 2024), era sufficiente presentare: “un dettagliato curriculum vitae”; una dichiarazione attestante l’assenza di cause di ineleggibilità o decadenza ai sensi della normativa di settore; copia di un documento in corso di validità. Punto.
Una volta presentato il proprio cv, l’aspirante può solo aspettare. Del resto, la Camera (così come il Senato) non ha reso note né prima, né dopo la scadenza del termine per la presentazione delle candidature le modalità di svolgimento della “procedura di selezione”, pur prevista dall’art. 63 del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi (“Tusma”).
Quindi, come stigmatizzano i tre ricorrenti, dopo l’auto-candidatura, è la politica (cioè la maggioranza) di fatto a scegliere i due “vincitori”, con buona pace di professionalità, competenza, indipendenza…
Violato il dettato della Corte Costituzionale
A sostegno della loro tesi i legali di Rizzo Nervo, Rolando e Rossano ricordano che la nomina dei consiglieri Rai “è stata oggetto nel tempo di vari interventi normativi, i quali hanno avuto la comune finalità di cercare di impedire che il Consiglio di amministrazione della medesima costituisse diretta o indiretta espressione del potere esecutivo al fine di assicurare l’obiettività del servizio pubblico”.
Ricordano inoltre che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 225/1974, ha affermato “il principio secondo cui è conforme ai principi costituzionali prevedere che “gli organi direttivi dell’ente gestore (…) non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da garantirne l’obiettività”.
Inoltre aggiungono che la Suprema Corte ha stabilito che l’informazione offerta dal gestore del servizio pubblico deve essere “ispirat[a] ai criteri di imparzialità”.
Non solo, della materia si è recentemente occupato anche l’European Media Freedom Act (“EMFA”), il Regolamento UE 2024/1083, il quale sancisce che gli Stati membri “istituiscano garanzie giuridiche efficaci per il funzionamento indipendente dei fornitori di media di servizio pubblico in tutta l’Unione, senza che siano influenzati da interessi governativi, politici, economici o privati”.
E che “i membri del consiglio di amministrazione dei fornitori di media di servizio pubblico [siano] nominati in base a procedure trasparenti, aperte, efficaci e non discriminatorie e su criteri trasparenti, oggettivi, non discriminatori e proporzionati stabiliti in anticipo a livello nazionale”.
Così i membri del Cda Rai sono tutti espressioni della politica
Alla luce di tutto ciò, la conclusione è abbastanza scontata: visto che l’avviso pubblico salta a piè pari una “procedura di valutazione” e rimette tutto a una decisione politica, “esso si pone in contrasto con il divieto costituzionale di avere consiglieri della RAI che siano eletti unicamente in base a un voto politico e non scelti con una procedura selettiva che abbia l’effetto di far sì che i membri del Cda RAI non siano mera espressione della maggioranza parlamentare che sostiene il potere esecutivo”.
Qualora il Tar dovesse accogliere la richiesta di sospensiva dell’avviso, tutto l’iter di nomina dei nuovi vertici Rai si bloccherebbe fino alla decisione di merito dei giudici. Se invece i giudici amministrativi dovessero decidere direttamente per la nullità del regolamento, la questione si farebbe politicamente incandescente, perché si dovrebbe rivedere buona parte delle normative previste per la scelta dei vertici Rai (quelle in vigore sono frutto della sciagurata riforma firmata da Matteo Renzi). E allora sì che ne vedremmo delle belle…